La vertenza della logistica Zara con i lavoratori tenuti anni con contratto sottopagato e straordinari non riconosciuti è tutt’altro che risolta. Va avanti a macchia di leopardo. Se a Roma e Milano i lavoratori delle cooperative sono tornati al lavoro – anche quelli del magazzino di Castel Giubileo teatro di un blitz dell’amministratore delegato e di guardie giurate che a colpi di tubi e taser hanno mandato all’ospedale tre lavoratori – avendo accettato la mediazione extrasindacale dell’ambasciata egiziana, in Emilia Romagna i lavoratori sono ancora in sciopero e hanno fatto un esposto alla magistratura.
«Noi a Roma giovedì sotto la spinta dei lavoratori egiziani eravamo riusciti ad avere il permesso per un presidio sotto Montecitorio. Il pomeriggio prima mi chiamano e mi dicono: “Mi dispiace, c’è stato un accordo in ambasciata, ci dobbiamo allineare, niente presidio», racconta Alessandro Antonelli, segretario regionale della Filt Cgil. I lavoratori di Roma e Milano dunque dal giorno dopo tornano al lavoro accettando la «scrittura privata» con le loro cooperative che – oltre a prevedere dal primo febbraio il riconoscimento del contratto della logistica già strappato dai sindacati – prevede «3mila euro» l’anno fino a 5 come pregresso in 3 rate entro novembre. In cambio anche della rinuncia tombale a fare causa. Alcuni raccontano esplicitamente di temere ritorsioni sui loro parenti in Egitto nel caso avessero continuato a protestare o non accettassero la mediazione.
«Si sta giocando col fuoco, le conciliazioni non sono esigibili e senza i soldi di Zara dubito che le cooperative possano avere i 20 milioni che servono», commenta Danilo Morini che per la Filt Cgil nazionale sta tenendo i fili delle varie vertenze sul territorio. «Nelle scritture private di conciliazione si prevede che “il lavoratore chieda pertanto di avviare la pratica per la formalizzazione in sede sindacale della conciliazione con la sottoscrizione di apposito verbale”. Ma noi di certo non lo faremo perché i soldi riconosciuti ai lavoratori sono insufficienti, la tempistica di erogazione non è accettabile facendoli attendere fino a novembre. E dunque rimangono scritture private non cogenti, non vincolanti e non esigibili», spiega Morini. Anche lo Si Cobas non firmerà le conciliazioni: «Non accetteremo i diktat di alcun consolato, egiziano o pakistano (molti dei lavoratori del magazzino di Regello vicino a Firenze chiuso sono pakistani, ndr), i diritti si conquistano con le vertenze anche legali», commenta Alessandro Zadra del Si Cobas Milano.
La vertenza resta aperta dunque e le notizie che filtrano dalla Spagna, sede di Zara sono negative. «Si è tenuto un consiglio di amministrazione con all’ordine del giorno anche la vicenda della logistica in Italia e informalmente abbiamo saputo che Zara sembra non voler avere un ruolo attivo. Fatto un conto della serva circa 20 mila euro per 1.000 lavoratori significa un totale di 20 milioni di euro: dubito che 5 cooperative con la sede nella stesso studio legale di Milano possano averli», osserva Morini.
Per questo il rischio che la vertenza si avviti pericolosamente è reale. «Se i lavoratori non vedranno i soldi promessi c’è il rischio di un problema sociale e di ordine pubblico».
Anche perché in Emilia-Romagna la lotta dei lavoratori – anche qui in gran parte egiziani – va avanti. Ieri mattina gli iscritti alla Filt Cgil di Reggio Emilia, Bologna e Rimini che continuano a bloccare i magazzini Zara hanno incontrato i legali del sindacato per raccogliere testimonianze per una denuncia penale e civile.
Per risolvere la vertenza in senso generale Morini torna a chiamare in causa Zara. «La multinazionale spagnola non può chiamarsi fuori: esistono almeno 5 cooperative riunite nel consorzio il Faro che esistono solo in quanto operanti quasi esclusivamente per Zara. Si tratta di un modello che va avanti da 15 anni, tanto da sembrare di essere voluto, non causale», attacca Morini.
Che torna a proporre «di aprire due tavoli sindacali, uno con le cooperative e uno con Zara per trattare un accordo soddisfacente da sottoporre poi al voto dei lavoratori, che siano 600 come risulta a noi, o 1.000 come sostiene il consolato egiziano».