«Abbiamo scioperato per 18 giorni. Il 6 marzo ho preso tante botte, meno di altri, ma comunque tante. Sono dovuto andare in ospedale». Hassan – il nome è di fantasia per paura di ritorsioni, nessuno dei facchini egiziani di Roma ha questo nome – parla un buon italiano. E ora, dopo «mesi durissimi», «è contento, anche se poteva andare meglio».
«L’accordo lo abbiamo fatto come ci ha spiegato il sindacato a maggio. Abbiamo firmato presso di loro. Adesso abbiamo il contratto Trasporti-Logistica con livello 4 junior, la paga è 9,22 euro l’ora. Prima era 7,30 euro l’ora. Ci hanno riconosciuto 3 mila euro netti per gli ultimi 5 anni e mille euro netti per i 5 anni prima. La prima tranche dei soldi è già arrivata, la seconda sarà a settembre».
«Le pressioni dell’ambasciata egiziana ci sono state. Ognuno di noi ha ricevuto telefonate da persone per convincerci a firmare. Ma non l’abbiamo fatto. A maggio le condizioni sono cambiate, l’accordo era in sede sindacale e con certezza dei pagamenti e del rispetto del contratto».
La media dei soldi avuti dai suoi colleghi è di circa 10mila euro. «Anche se noi ne volevamo 8mila per ogni anno, adesso che li abbiamo avuti veramente siamo contenti».
La loro storia viene da lontano. Quasi tutti sono in Italia dal 2012. E da subito hanno lavorato per le cooperative della logistica di Zara. «Le cooperative cambiavano spesso. Il lavoro rimaneva uguale. Solo che ogni giorno ti chiedevano di spostarti. Il contratto da subito era a tempo indeterminato. Il problema è che lavoravo anche 300 ore al mese e ce ne pagavano solo 120. E non ci davano lo straordinario, non ci davano la 13esima, non ci davano il Tfr».
Anno dopo anno la consapevolezza di essere sfruttati diventa rabbia. E quando finalmente arriva il sindacato a spiegarti che «ti puoi ribellare, che ti devono pagare e rispettare, lo spieghi agli altri e insieme a loro ti senti forte e il padrone non ti fa più paura».
Inizia lo sciopero. «È stata dura, facevamo i turni per non fare entrare nessuno a Castel Giubileo. Poi una mattina sono arrivati a picchiarci. Spranghe, tubi di ferro e la pistola elettrica, il taser».
Ma la protesta va avanti. «Ancora per tanti giorni. Poi qualcuno di noi ha iniziato ad attaccare lo sciopero, dicevano che non serviva a niente e perdevamo soldi». Qualche giorno e arrivano anche le pressioni dell’ambasciata. «Anch’io, come tutti, ho ricevuto delle telefonate da persone di lì che mi dicevano di accettare e firmare nella sede della cooperativa. Ma abbiamo ascoltato la Cgil e abbiamo continuato la protesta».
I mesi passano. «A maggio abbiamo deciso di firmare perché le condizioni erano cambiate e veniva fatto tutto secondo le regole. Eravamo alla sede della Cgil e i tempi dei pagamenti erano scritti e più vicini».
L’accordo con il Faro è stato tombale. «Nessuna denuncia per quello che è successo al magazzino». «Qualche problema c’è ancora: la busta paga non è sempre esatta e non sappiamo se dobbiamo pagare le tasse sui soldi avuti. Ma rispetto a prima non c’è confronto».