L’ultimo messaggio è freddo, lucido e spietato: «Buonasera, a seguito della riduzione delle attività, nella data di lunedì 2 agosto 2021 lei sarà dispensata dalla sua attività lavorativa. Il trattamento economico verrà garantito con gli strumenti previsti di legge». È quello che hanno letto sul cellulare sabato 31 luglio verso le 22 circa 90 lavoratori di Logista una multinazionale nella distribuzione del tabacco che opera nell’area 7 dell’Interporto di Bologna. Magazzinieri, impiegati, vigilanti, personale delle pulizie: tutti licenziati senza preavviso, collettivamente, via Whatsapp. La stessa comunicazione è arrivata, allo stesso orario e nello stesso giorno, anche ai sindacati via posta elettronica certificata (Pec). È giunta dal fornitore dei servizi in appalto. Questa è la denuncia fatta dal S.I. Cobas.Il magazzino chiuderà le attività dal 1 settembre, segnala la Filt Cgil.

In 36 ore si può perdere il lavoro apprendendo il fatto da un invio automatico via piattaforma digitale. Via mail o WhatsApp, consegnato per raccomandata o per telegramma, il senso di un licenziamento non cambia, per di più a un mese dallo sblocco dei licenziamenti disposto dal governo Draghi. La comunicazione, anonima e tecnologica, aggiunge una violenza in più al lavoratore. Poi ci sono le circostanze in cui il dramma avviene. Molti dei dipendenti erano in ferie quando hanno ricevuto il messaggio.

Nella ricostruzione della storia recente dell’azienda, fatta dai delegati S.I. Cobas, emerge il fatto che le attività non si sono mai fermate durante l’anno e mezzo di pandemia appena trascorso. I tabacchi, si sa, sono stati considerati un «attività essenziale». Dunque tale è anche chi lo lavora, lungo tutto il ciclo della produzione. «Persino di fronte allo scoppio di un focolaio – aggiunge S. I. Cobas – la multinazionale non aveva voluto chiudere un solo giorno. E così mentre gli operai si godono il loro riposo, Logista porta avanti il suo piano di ristrutturazione e approfittando di una crisi generale che però non ha subito, licenzia tutti».

Il problema del sito di Bologna «non è certo un problema di produttività ma di costo del lavoro considerato troppo alto dall’azienda». Si ritiene che le attività potrebbero essere delocalizzate in Italia, in altri siti dove le attività per ora continuano, «Tortona, Anagni» ad esempio, «lì dove i livelli di inquadramento sono i più bassi previsti dal contratto nazionale di lavoro dove non ci sono buoni pasto, ci sono ancora le cooperative e si lavora ancora 12 ore al giorno…».

«I lavoratori piu anziani operano “da 15 anni e ricordano bene cosa fosse il far west della logistica : 15/16 ore di lavoro, buste paga a 900 euro, nessuna sicurezza, caporalato e sfruttamento, nessun diritto. Nel 2013 i lavoratori iniziarono ad organizzarsi con il Si. Cobas e ottennero il rispetto dei diritti basilari, un netto miglioramento delle condizioni economiche, livelli di inquadramento adeguati, buoni pasto e premi di produttività, ma soprattutto la loro dignità». «Il magazzino è attivo da decenni e Bologna si trova in una posizione strategica per questo tipo di attività- ha denunciato la Filt-Cgil – La decisione di cessare le attività è quantomeno sorprendente e offensiva nei confronti dei lavoratori», Domani è stato convocato il «tavolo di salvaguardia» con le istituzioni locali e le parti coinvolte.