Rispetto al calligrafismo pop un po’ cafone del dittico dedicato a Oss 117, The Artist faceva la figura dell’esercizio di stile bolso e vano. L’Oscar ad Hazanivicius, però, lo hanno dato per The Artist. E son cose che a un regista fanno male. La riprova dell’effetto nefasto lo si è avuto l’anno scorso al Festival di Cannes, dove il regista ha presentato The Search. Ambientato durante la seconda guerra cecena e introdotto da un artificio narrativo metacinematografico (che però si capisce subito dove va a parare…), il film è incentrato su Hadji che ha la sventura di assistere non scoperto al massacro dei suoi genitori. Mettendosi in salvo con il fratello neonato, viene raccolto da Carole, funzionaria di un’Organizzazione europea per i diritti interpretata da Bérénice Bejo. Nel frattempo la sorella di Hadji, si mette sulle tracce dei suoi fratelli sperando di trovarli ancora vivi.

Se la parte principale del film è una rielaborazione di Odissea tragica di Fred Zinnemann (ammessa dallo stesso Hazanavicus), la seconda, con l’addestramento di Kolia, una giovane recluta russa che da riluttante si trasforma in soldato efficiente e senza scrupoli, strizza l’occhio a Full Metal Jacket. Nonostante le intenzioni evidenti, portare sullo schermo la Cecenia e le sue guerre, ciò che latita dal film è proprio il contesto e una lettura dello scontro politico.

Lo sfondo ceceno resta immobile, immagine esotica senza profondità, dove le sfumature etniche e religiose di un conflitto politico sono piallate via a favore di una visione banalmente manichea per ribadire un’idea che al cinema ha trovato formulazioni ben più audaci: la guerra è un male assoluto. Non si contesta ad Hazanavicius la scelta della chiave melodrammatica, con Oltre Rangoon John Boorman ha dato corpo al supplizio di Myanmar in maniera complessa e pluristratificata. Ciò che delude di The Search, avendo il regista optato per raccontare il conflitto da un’ottica intima, è invece proprio la scarsa, inesistente passione melodrammatica. Non si avverte mai l’impatto devastante della tragedia. Solo l’esibizionismo della macchina produttiva. L’evidenza scritta di una sceneggiatura banale, svolta assecondando tutti i luoghi comuni di una retorica sentimentale priva di mordente. E, soprattutto, gli interpreti, tutti inerti, che si limitano a declamare le intenzioni della pagina scritta.

Il riconoscimento autoriale non fa bene a certi registi, che si rivelano ben più interessanti quando si muovono nella zona d’ombra fra grande successo di pubblico e disinteresse critico quasi totale. Accecato dall’immagine di se stesso come «autore», Hazanavicius firma il peggiore film della sua carriera, che inizia ad assomigliare a un equivoco. L’unica cosa positiva che si può affermare di The Search è che già oggi il film può essere adottato nelle scuole di cinema come libro di testo in negativo sulle cose da non fare mai e gli errori più comuni commessi dai registi ben intenzionati. Triste fine per il regista ribaldo e un po’ cialtrone di Oss 117.