L’ Odissea dei profughi non ha fine, con uomini e donne esposti al maltempo e all’incapacità dell’Europa di prendere delle decisioni realmente determinanti. La pioggia caduta a Idomeni, al confine tra Grecia ed Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, ha costretto più di mille e duecento persone a dormire nel fango, senza alcuna protezione. Agli altri diecimila e settecento che aspettano – probabilmente invano – di poter attraversare il confine, le organizzazioni non governative e le autorità greche sono riuscite ad assicurare almeno una tenda.
La situazione è altrettanto complessa nel centro di Atene, a Piazza Viktorìas, dove più di duecento persone dormono all’addiaccio, e in questi giorni di pioggia hanno cercato di ripararsi nei portoni dei palazzi e nelle tende, nella speranza di poter continuare il proprio viaggio oltre i confini greci. Il sindaco di Atene, Jorgos Kominis, ha promesso di compiere ogni possibile sforzo per cercare di trovare una nuova sistemazione, con condizioni più dignitose per migranti e profughi.
Si calcola che sino a ieri sera siano entrate in Grecia circa trentunomila persone fuggite dalla miseria e dalle guerre, la cui unica richiesta è di poter proseguire il proprio cammino verso Nord.
Nel frattempo, nel corso del loro incontro tenutosi ieri a Parigi, il presidente francese François Hollande e la cancelliera Angela Merkel hanno sottolineato che «la risposta alla crisi dei profughi deve essere europea», aggiungendo che la Turchia dovrà far rientrare nei propri confini i migranti che hanno lasciato il proprio paese per motivi puramente economici. Ma è negli hotspost della Grecia che si dovrà verificare se chi ha rischiato la propria vita attraversando l’Egeo è un migrante economico, un profugo di guerra o un perseguitato politico. Una «cernita» che spesso calpesta la dignità umana. «Lo scopo finale è rimettere ordine nel sistema di Shengen, attraverso la solidarietà, uno stretto coordinamento e il rafforzamento delle nostre risorse», ha dichiarato il presidente francese.
La portavoce della cancelliera Merkel, tuttavia, ha chiarito ieri da Berlino che il riallocamento dei profughi dalla Turchia in Europa non costituirà la priorità del vertice straordinario di lunedì, ma che a Bruxelles si discuterà, innanzitutto, di come l’Unione può aiutare la Grecia e della protezione dei confini esterni dell’Unione.
In queste ore Merkel – a quanto si apprende – è in continuo contatto telefonico con Alexis Tsipras, per stilare una lista di quelle che la Grecia ritiene siano le priorità per poter continuare ad affrontare l’emergenza dei profughi. Nel frattempo, il ministro degli esteri ellenico Nikos Kotzias ha incontrato ad Atene il suo omologo turco Melvut Cavusoglu con cui ha discusso, principalmente, della situazione di emergenza. Entrambi si sono detti convinti che un problema di queste dimensioni, supera la portata dei rapporti bilaterali tra i due paesi e che deve essere risolto dall’Europa nel suo complesso.
Anche nell’incontro con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ieri ad Ankara, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha chiesto alla Turchia di fare di più per ridurre il numero di partenze dalle sue coste, alla volta delle isole greche. A quanto si è appreso, nel corso del colloquio si è fatto riferimento anche al rafforzamento delle frontiere esterne della Grecia (che sono, ovviamente, anche quelle dell’Unione) e al possibile contributo di una guardia costiera europea, dotata di importanti mezzi e capacità di azione, da rendere operativo già in estate. In una ettera ai leader dei 28, infine, Tusk si è detto convinto che i paesi balcanici sono «determinati a tornare alla piena applicazione delle regole comuni. Chiuderemo il percorso dei Balcani occidentali»».
In queste ore, che precedono il vertice europeo straordinario con la Turchia, previsto lunedì a Bruxelles, i contatti tra le cancellerie sono praticamente continui. Eppure, ad Atene molto osservatori esprimono il timore che i risultati di questo ennesimo consiglio europeo – che si pone l’obiettivo di «tornare a Schengen», blindare la frontiera esterna e così chiudere la porta della rotta balcanica che parte dalla Turchia – potrebbero non essere così determinanti come ci si attende. E lo scetticismo, ovviamente, riguarda la reale possibilità di mettere in pratica – in modo fattivo e senza intoppi – quanto viene deciso e annunciato nelle riunioni di Bruxelles.