«Non mi arrendo, difenderò sempre il mio lavoro e le mie opinioni ma mi domando se avrà fine questa odissea. Dopo quasi 20 anni sono perseguitato per il mio documentario Jenin Jenin». L’attore e regista palestinese di cittadinanza israeliana Mohammad Bakri, 69 anni, accetta subito di rispondere alle nostre domande. Ha voglia di denunciare il suo «calvario», nel giorno dell’udienza, l’ultima prima della sentenza, del processo che lo vede sul banco degli imputati al tribunale di Lod. Un militare, che nel 2002 aveva combattuto a Jenin, lo accusa di diffamazione e ha chiesto un risarcimento di circa 700mila euro.

«Questo è l’ennesimo procedimento penale che sono costretto ad affrontare per aver raccontato quanto accadde 18 anni fa nel campo profughi di Jenin», ci dice al telefono. Jenin Jenin è stato girato nella seconda Intifada. Riferisce della devastazione del campo profughi di Jenin durante l’offensiva “Muraglia di Difesa” che, nella primavera del 2002, vide l’esercito israeliano rioccupare le città autonome palestinesi.

 

 

A Jenin furono uccisi decine di palestinesi e 15 militari israeliani. Il documentario fu quasi subito bandito dall’Israeli Film Rating Board perché ritenuto «calunnioso» e perché rappresenterebbe solo il punto di vista palestinese. La Corte suprema annullò la decisione. Quello stesso anno però cinque riservisti israeliani denunciarono Bakri di vilipendio e diffamazione per aver accusato l’esercito di crimini di guerra. Nel 2008 il tribunale distrettuale di Petah Tikva accolse l’accusa ma stabilì che i querelanti non avevano basi legali per una causa. La Corte suprema confermò la sentenza. Poi nel 2016 giungono la nuova denuncia e il nuovo processo.

Lei riceve sostegni da ogni parte del mondo. Registi e attori, anche italiani, come Mario Martone, Gabriele Salvatores e Valerio Mastandrea, hanno firmato un appello a suo favore. Eppure la sua vicenda giudiziaria non ha fine.

Purtroppo è così. Da 18 anni sono costretto a difendermi solo perché ho raccolto testimonianze tra gli abitanti nel campo profughi di Jenin. Ho speso tutti i miei risparmi in avvocati, ho pagato questa situazione lavorando pochissimo e perdendo occasioni di lavoro e contratti. Qualche anno fa credevo di esserne venuto fuori e invece è arrivata la denuncia di questo soldato che afferma di essere stato ripreso senza autorizzazione e mi chiede un risarcimento gigantesco. Ho spiegato alla corte che non ho ripreso militari israeliani nel mio documentario e che ho usato immagini trasmesse da media locali e internazionali, quindi già andate in onda e rese pubbliche. Chi mi accusa afferma di essere uno dei soldati che a un certo si intravedono nel film. Assurdo.

Quindi il tempo non ha attenuato le accuse che le rivolgono.

Per niente, sono sempre nel mirino di qualcuno. Appena qualche giorno fa un noto giornalista ha scritto un articolo in cui mi rivolge parole pesanti e mi descrive nel peggior modo possibile. Hanno deciso di distruggermi eppure non cedo. A darmi conforto sono le parole di solidarietà e stima che ricevo da persone comuni, da colleghi e da intellettuali palestinesi e stranieri.

Prima di Jenin Jenin lei era noto per posizioni morbide. In diversi film ha interpretato personaggi favorevoli ad accordi di pace e in più occasioni si è espresso per la coesistenza tra ebrei e palestinesi. Come spiega tanto accanimento?

Vogliono punirmi, credono di dovermi dare una dura lezione perché, secondo il loro giudizio, avrei abbandonato certe posizioni per adottarne altre critiche dell’esercito e dell’occupazione (di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, ndr). Ma io ho sempre condannato l’occupazione, è sbagliata, è illegale, e continuerò ripeterlo. Non cambierò idea. In Israele, oggi persino più di 18 anni fa, pensano che i Territori palestinesi non siano stati occupati (nel 1967). Sono convinti che la Cisgiordania sia parte dello Stato e intendono mettere a tacere le voci contrarie a questa narrazione. Ma l’occupazione è reale e non riusciranno a nasconderla.