Che i naufraghi della Alan Kurdi dovessero sbarcare in Italia lo prescrivono le convenzioni internazionali che proteggono la vita dai pericoli del mare. Che la nave non potesse raggiungere Marsiglia, come annunciato dall’equipaggio, era evidente dalle previsioni meteorologiche che annunciano bufera. Il governo italiano, però, ha assunto la responsabilità del caso solo ieri, quando ha finalmente indicato un porto di sbarco: Olbia. «Lo chiedevamo da sabato», ha detto Gorden Isler, fondatore della Ong. La mossa dell’esecutivo è arrivata solo dopo che Parigi ha alzato la voce ricordando che lo sbarco competeva a Roma.

I cinque giorni di temporeggiamento e l’intervento dei francesi hanno provocato un doppio effetto. Il primo, positivo, è che il governo italiano ha strappato il ricollocamento della maggior parte dei naufraghi. «La Alan Kurdi non è adeguata a sopportare un mare molto mosso. Abbiamo dato rifugio e sentito i Paesi europei che hanno dato disponibilità a prenderli tutti tranne 25, che dovrebbero rimanere in Italia. Il porto è chiuso, non lo abbiamo dato, ma se la situazione del mare peggiora verrà data la possibilità di sbarcare», aveva detto in mattinata la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese. Nel frattempo l’imbarcazione si dirigeva verso il porto «chiuso» di Arbatax. Nel tardo pomeriggio, invece, le veniva indicato di virare verso quello di Olbia, dove lo slogan che ha portato una dubbia fortuna al precedente inquilino del Viminale lascerà il posto alla realtà di un piccolo sbarco. Sul ponte della nave ci sono, da quasi una settimana, 125 persone. Tra loro 57 minori.

Il secondo effetto prodotto dalle mosse dell’esecutivo è aver ringalluzzito l’opposizione. Le destre hanno colto al balzo la sequenza degli eventi per gridare alla lesa sovranità nazionale per mano del vicino gallico. «Roba da matti! La Francia protesta e fa la voce grossa, il governo italiano cede subito», twitta Matteo Salvini (Lega). «Ennesimo schiaffo all’Italia e agli italiani. L’Alan Kurdi viene rifiutata dalla Francia e indovinate un po’ dove sbarcherà? Risposta scontata: in Italia!», rincara la dose Giorgia Meloni (FdI). Per tutto il pomeriggio sono annunciate mobilitazioni, proteste e visite di esponenti nazionali ad Arbatax. Quando finalmente ci arriva Eugenio Zoffili – deputato, presidente della bicamerale Schengen e coordinatore della Lega in Sardegna – la destinazione è già cambiata. L’uomo, però, non si perde d’animo: «Impediremo con ogni mezzo lecito e pacifico lo sbarco ad Olbia dei 125 migranti dalla Alan Kurdi».

Evidentemente la batosta elettorale non è bastata a far cambiare registro al partito di Salvini, pronto a rincorrere gli sbarchi dalla Sicilia alla Sardegna per strappare un po’ di visibilità. Qualcosa si muove invece nella compagine di governo, dove il peso maggiore guadagnato dal Pd dovrebbe avere dei riflessi sulle politiche migratorie. Più che a una vera e propria discontinuità, però, si rischia di assistere alla modifica di alcune note a margine. Almeno nel Mediterraneo. È vero che la Commissione Ue ha ribadito la legittimità di tutti i soccorsi marittimi, è vero che il decreto immigrazione presentato ieri abolirebbe le maxi multe alle Ong, ma è altrettanto vero che la logica di criminalizzazione della solidarietà è ancora lontana da una messa in discussione. Lo testimoniano le tre navi umanitarie e l’aereo civile sottoposti a fermo amministrativo in modo pretestuoso, il ritardo nella gestione del caso Sea-Eye e le dichiarazioni di Lamorgese: «Le sanzioni alle Ong potrebbero diventare penali».

Alla ministra ha risposto Luca Casarini, capomissione di Mediterranea: «Chi salva le vite in mare andrebbe solo aiutato, se un governo vuole essere democratico e civile. Le sanzioni siano date a chi sostiene le milizie di torturatori che si fanno chiamare guardia costiera libica».