Lo scorso sei marzo moriva in uno dei centri di detenzione dell’ufficio immigrazione di Nagoya, nel Giappone centrale, dopo più di tre mesi di permanenza, Ratnayake Liyanage Wishma, ragazza originaria dello Sri Lanka e detenuta per esser rimasta in Giappone una volta che il suo visto era scaduto. La tragedia finita su molti giornali nazionali ed internazionali ha portato alla luce la sconcertante situazione di coloro che entrano in Giappone e che, per vari motivi, hanno problemi con la burocrazia dell’immigrazione del paese. Le condizioni inumane a cui è sottoposto molto spesso chi arriva nell’arcipelago, specialmente come rifugiato e richiedente asilo, rappresentano alcune delle pagine più nere della società giapponese contemporanea.
A gettare ulteriore benzina sul fuoco di una situazione già particolarmente esplosiva, anche se taciuta, è arrivata una proposta del governo giapponese per un emendamento che, se approvato, inasprirebbe ulteriormente le normative sui richiedenti asilo. Questa modifica permetterebbe infatti la deportazione automatica di coloro che fallissero per due volte la richiesta ed approvazione di asilo. Ushiku è un documentario di inchiesta che coraggiosamente denuncia questa situazione, immagini e parole negate sono il tema centrale del lavoro, costruito da video girati di nascosto di conversazioni con alcuni di coloro che da anni, anche più di tre o quattro, vivono in questi luoghi di nessuno.

IAN THOMAS ASH, autore americano, ma da anni residente nell’arcipelago, dà voce alle storie di queste persone arrivate in Giappone per cercare aiuto e scopre un lato nascosto del paese asiatico, sconosciuto alla maggior parte della sua stessa popolazione. Se nell’immaginario internazionale l’arcipelago è visto come un paese ospitale, questo è vero solo in modo selettivo, verso i rifugiati è ancora anni luce distante da un livello di civiltà e cooperazione internazionale che lo stesso governo giapponese ha sottoscritto, peraltro, al summit del G7 del 2016, svoltosi a Ise. Si tratta di un risultato di politiche di chiusura di un paese che se da una parte contribuisce con ingenti versamenti all’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, dall’altra non sembra voler allinearsi alle pratiche politiche portate avanti dagli altri paesi. Nel documentario si vede infatti anche un passaggio di un breve dibattito parlamentare dove viene fuori tutta l’impreparazione e l’ignoranza di gran parte dei politici giapponesi sulla questione e che si limitano a sentenziare «se le condizioni sono quelle che sono, dobbiamo aumentare i rimpatri».

LA SITUAZIONE dei detenuti mostrata nel documentario, che è possibile vedere anche in Italia in streaming fino al 6 giugno – è nel cartellone del festival Nippon Connection di Francoforte, fa intravedere allo spettatore l’interno dell’inferno fisico e psicologico del grande centro di detenzione di Ushiku, nella prefettura di Ibaraki, non troppo distante da Tokyo. Il lavoro copre circa due anni di intermittenti visite e telefonate a questi detenuti da parte di Ash, dal 2019 fino ai primi mesi di quest’anno, compreso quindi il periodo della pandemia. A pochi mesi dell’evento Olimpico, che la popolazione giapponese decisamente non sostiene più, e che aprirà le porte ad atleti di tutto il mondo, è un tragico paradosso che in un paese di circa 125 milioni di abitanti non possano trovare un’accoglienza dignitosa alcune migliaia di rifugiati in cerca di asilo, perché di questo si tratta, di poche migliaia di persone.

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