È cominciato come un senso di disagio, la percezione di qualcosa di sgradevole. Negli ultimi mesi, più le donne denunciavano molestie e prevaricazioni passate e presenti, più avvertivo che andava crescendo da più fronti e nei loro confronti un attacco deliberato e reazionario, benché spesso strisciante. Non è qualcosa mosso solo contro il movimento Metoo, ma avverso al corpo stesso della donna.
L’evento recente e più eclatante è stata la sentenza dei giudici spagnoli che hanno derubricato ad abuso sessuale uno stupro di branco.

Attenendosi alla legge spagnola secondo cui non c’è violenza se non c’è intimidazione, i giudici hanno ritenuto che, poiché la diciottenne non aveva lottato per difendersi dall’aggressione di cinque uomini, fosse parzialmente consenziente.
Mi piacerebbe che quei magistrati si trovassero nella stessa situazione, da soli contro cinque energumeni, e poi chiedere loro che cosa farebbero per uscirne prima possibile e con il minor numero di ossa rotte.
In Polonia da mesi le donne scendono in piazza per impedire a quell’orrendo governo di destra prima che vietassero l’aborto del tutto, e ora che lo limitino ancora di più.

La Polonia ha una delle leggi più restrittive d’Europa in fatto di interruzione di gravidanza, che è permessa solo in tre situazioni: pericolo di vita per la madre, stupro, grave malformazione del feto. Il progetto di legge «Stop aborto» vuole abolire l’ultimo caso, obbligando le donne a portare a termine la gravidanza pur sapendo che il feto non sopravviverà dopo la nascita. Siamo alla delirante, e arcaica, idea che il corpo femminile deve essere solo un contenitore e che la donna non ha diritto di decidere quasi nulla in proposito. Molte polacche, a causa anche dell’altissima percentuale di obiettori di coscienza fra i medici, sono costrette a emigrare, soprattutto in Germania, per abortire.

Nei giorni scorsi a Parma una vigilante (ebbene sì una donna, a riprova che le peggio idee possono contagiare chiunque) ha cacciato dai portici dove si affaccia l’Università una giovane signora che voleva solo allattare suo figlio perché, secondo lei, era uno spettacolo che urtava la sensibilità degli studenti. Alla suddetta vigilante dovrebbero mostrare qualche Madonna del Latte di Leonardo, Ambrogio Lorenzetti, Jan Van Eyck, Andrea Pisano. Se poi vedesse quella di Jean Fouquet, in cui la madre di Gesù scopre senza pudore un seno marmoreo, probabilmente la vigilante stramazzerebbe al suolo per l’orrore, o forse comincerebbe a riflettere sui fantasmi che le affliggono la mente.

Ma il caso più torbido e inquietante è quello che ruota attorno al recente attentato di Toronto, nel quale il 25enne Alek Minossian ha ucciso con un furgone dieci persone. Otto erano donne. Nei giorni successivi è emerso che l’omicida è seguace dell’Incel Rebellion. Incel è l’acronimo di Involuntary celibate, celibi involontari. Il movimento era nato vent’anni fa in Canada, e con tutt’altro scopo, per includere persone celibi o sole. Negli ultimi anni è invece diventato l’inno di un gruppo di agguerriti misogini, uomini che disprezzano le donne perché, secondo il loro folle pensiero, negandosi toglierebbero loro il diritto di accoppiarsi.

Il detonatore di questo malefico intento lo aveva dato Elliott Rodger che, nel 2014, uccise sei persone a Santa Barbara, in California, per vendicarsi delle donne che non gli si erano concesse, costringendolo a essere ancora vergine a 22 anni. Qui siamo alla penetrazione considerata come un diritto. Parafrasando il Bardo, viene da dire una sola cosa. C’è del marcio in tante teste.

mariangela.mianiti@gmail.com