C’è un’istallazione artistica a Varsavia, nella centralissima Plac Zbawicielna, che si chiama Tecza (arcobaleno). Una grande arco di ferro nel bel mezzo della piazza, di fronte alla chiesa del Santo redentore, ricoperto di fiori artificiali che riproducono i sette colori dell’iride. Un’opera concepita e realizzata da Julita Wojcik, la terza di una serie di istallazioni simili, eretta a Varsavia nel giugno del 2012. L’intenzione dell’artista polacca era quella di evocare i sentimenti positivi che scaturiscono dalla visione di un arcobaleno come l’amore, la pace, la speranza: un simbolo universale e apolitico. Nel giro di poco tempo, però, l’istallazione è diventata «simbolo e riscatto» del movimento Lgbt polacco, che mai come in questi ultimi anni sta cercando di emergere dall’oblio in cui sembrava essere stato relegato e schiacciato dalla storia, dal conservatorismo politico e dal radicalismo cattolico.

Ed è per questo motivo che “l’arcobaleno di Varsavia” è stato oggetto di vandalismo per ben quattro volte. L’ultima (la più eclatante) l’11 novembre 2013, quando durante la marcia per la festa nazionale dell’indipendenza, un nutrito gruppo di “fascisti” è uscito dal corteo per dare alle fiamme il monumento e poi dirigersi verso l’ambasciata russa e prenderla d’assalto. La maggior parte di loro faceva parte di Ruch narodowy, uno dei movimenti più oltranzisti dell’estrema destra polacca che, per la cronaca, alle europee del 25 maggio si presenterà dentro una listone insieme ai neonazisti ungheresi di Jobbik (oltre il 20% alle politiche di aprile in Ungheria). L’arcobaleno di Varsavia è stato ricostruito e il sindaco della capitale ha dichiarato che sarà per l’ultima volta.

Se la destra extraparlamentare usa il “fuoco” per esprimere la proprie opinioni sul movimento Lgbt, la destra nazionalista istituzionale si accontenta delle “parole di fuoco”, come quelle enunciate dal deputato di Prawo i sprawiedliwosc (Legge e giustizia, Pis) che ha definito l’istallazione «un arcobaleno culattone», o come quelle di Stanislaw Pieta, anche lui di Pis, che si è lamentato dell’arcobaleno perché «urta la sensibilità dei fedeli», essendo posizionato di fronte a una chiesa. A proposito.

Ovviamente non poteva mancare l’anatema clericale, impersonato da padre Tadeusz Rydzyk, direttore e fondatore di Radio Maryja, voce del fondamentalismo cattolico in salsa polacca che sul monumento si è espresso con queste parole: «E’ un simbolo di devianza». Il padre redentorista è a capo di un impero mediatico (radio, tv, giornale, università di giornalismo) ed è molto influente all’interno della sfera pubblica del Paese. Il suo quartier generale è a Torun, la città di Copernico. Eravamo stati lì nel 2007, per un reportage su Radio Maryja e in quell’occasione ci eravamo avvicinati ad un gruppetto di ragazzi e ragazze imbavagliati che distribuivano volantini ai passanti in pieno centro, davanti alla statua di Copernico, in cui si spiegava il motivo della protesta: «I media ci oscurano, gay e lesbiche in Polonia sono discriminati e nessuno ascolta le nostre ragioni». Da allora la situazione non è migliorata di molto. La Polonia resta uno dei paesi europei meno tolleranti, anche se sono stati fatti dei grandi passi avanti. Per esempio, in parlamento oggi siede Anna Grodzka, il primo deputato transessuale della storia polacca, eletto tra le fila di Ruch Palikota, il movimento politico libertario e anticlericale fondato da Janusz Palikot che ha fatto dei diritti civili il suo cavallo di battaglia, guadagnandosi il supporto delle associazioni Lgbt e diventando la terza forza politica del Paese col 10% dei voti alle ultime politiche. Cosa non da poco, visto che i media hanno iniziato a dare spazio alle istanze del movimento Lgbt polacco, scatenando un dibattito dentro l’opinione pubblica sul tema che fino a pochi anni fa era inimmaginabile. Alcuni giorni addietro, in uno dei programmi d’approfondimento più seguiti della tv di stato, una coppia lesbica ha raccontato la propria storia: dal “coming out” alla nascita del loro primo figlio. Ebbene, hanno deciso di trasferirsi in Gran Bretagna. «La Polonia non è tollerante – hanno detto – non tanto la comunità in cui viviamo, che anzi si è dimostrata affettuosa e comprensiva nei nostri confronti, ma paradossalmente sono state le istituzioni a mostrare intolleranza e sarcasmo: scuole, uffici, ospedali». Forse le nuove generazioni sapranno ribaltare lo status quo, nonostante molti giovani rimangano scettici sulla prospettiva. Una di loro è Paulina Ferenc, 26 anni, laurea in economia che con un italiano fluente (Erasmus a Bari) ci confida le sue perplessità. «Sono indignata per come i politici del mio Paese hanno commentato la vittoria di Conchita Wurst. In Polonia si sono raggiunti livelli di volgarità impressionanti. Ma quello che più mi ha fatto riflettere, è stato leggere su facebook i commenti beceri di molti “amici”, ragazzi della mia età. Tutto ciò è veramente triste».