Giusto il tempo di un cornetto dopo la riunione dei capidelegazione prolungatasi sino all’alba e la giostra dei vertici riparte: governo e Comitato tecnico scientifico, poi governo e regioni, quindi i presidenti di regione fanno il punto da soli e anche il Cts si riunisce per buttare giù qualche indicazione per il prossimo Dpcm, in arrivo quando il precedente è ancora fresco di stampa. A seguire, alle 19, il secondo round dei capidelegazione, poi il summit su legge di bilancio e misure economiche per la nuova emergenza Covid.

L’OBIETTIVO SAREBBE licenziare tutto, previa riunione del consiglio dei ministri, nella notte. Impossibile: troppe le voci in sospeso. È una nota informale di palazzo Chigi ad annunciare che il testo sarà illustrato solo oggi da Giuseppe Conte in conferenza stampa. La nota in sé è interessante. Arriva a un passo dal chiedere di non diffondere informazioni che «potrebbero alimentare confusione». Toni sideralmente distanti da quelli della primavera, dai quali traspare non solo la tensione alle stelle ma anche il nervosismo di un premier che, quasi costretto ad agire dalla pressione del Pd, sente la presa, sin qui personale e salda, sfuggirgli di mano: «Le anticipazioni che si stanno rincorrendo sono da ritenersi fughe in avanti». Un segnale di debolezza da manuale.

NEL ROUND MATTUTINO si decide di procedere limitando tutte le attività non essenziali. Definizione vasta, dal momento che essenziali sono solo produzione e scuola. L’interpretazione del ministro della Salute Roberto Speranza è estensiva: chiudere tutto o quasi, comunque parrucchieri, estetisti, centri di bellezza. Il pollice di Conte è verso. Le regioni non ne vogliono sentir parlare. Qui la partita è già chiusa. Serrata invece quasi certamente per palestre, scuole di calcio, forse piscine e in generale tutte le sedi in cui si praticano sport di contatto. Il contagio «amicale», quello che poi si estende a macchia d’olio nelle famiglie, secondo la Sanità parte di lì.

Sulle chiusure, ribattezzate «coprifuoco», si riaccende lo scontro. Speranza e il capodelegazione Pd Dario Franceschini pensano a una versione drastica, modello «Ultimo metrò». Tutto chiuso alle 21 e divieto di uscire di casa per tutti. È una posizione estrema, messa sul tavolo per forzare la mano a Conte, che avrebbe preferito evitare il nuovo Dpcm a ridosso del precedente, e concludere la trattativa con una mediazione comunque rigida. Si tratterebbe della chiusura di bar, ristoranti e locali alle 22.30, in modo da consentire almeno il primo turno di tavolate senza il quale per molti ristoranti, già massacrati dal lockdown, sarebbe il de profundis.

NEL VERTICE CON LE REGIONI il commissario Arcuri ripete il suo j’accuse: perché le amministrazioni non hanno ancora attivato i ventilatori consegnati dal governo centrale? Sulle chiusure i governatori sono ben poco convinti: «Non mi pare che i ristoranti e i locali con posti a sedere determino assembramenti», commenta l’emiliano Stefano Bonaccini. Le regioni battono invece sulla necessità di decongestionare i trasporti. Vuol dire smart working a tutto spiano e Speranza non si fa pregare: «Potrebbe arrivare al 70-75%». Il ministro risponde positivamente anche alla spinta delle regioni per sostenere le categorie che saranno di nuovo messe in ginocchio: «Se decidiamo di chiudere ci facciamo carico delle categorie colpite», assicura. Ma provare a svuotare i bus vuol dire anche, se non soprattutto, scuola. Sul tavolo c’è ancora la proposta del governatore veneto Luca Zaia, didattica a distanza per le ultime due classi delle superiori, suggerita anche dal Cts.

Le regioni più colpite finiranno probabilmente per adottarla comunque. C’è però il parere contrario della ministra Lucia Azzolina, che per Conte è sempre legge. Il premier punta quindi sullo scaglionamento degli ingressi, non è ancora chiaro di quanto. Un paio d’ore al massimo, probabilmente. Sarebbe una boccata d’ossigeno ma non tale da risolvere il nodo dei trasporti. «Se non si affronta e risolve quello la battaglia sarà persa», commenta fuori dai denti la capogruppo di LeU Loredana De Petris.

DA QUEL PUNTO DI VISTA, però, la fantasia scarseggia e di opzioni concrete in campo per il momento non se ne vedono. Il «reggente» pentastellato Vito Crimi, in compenso, propone di rendere obbligatoria l’app Immuni. L’eterna passione dei 5 Stelle per prescrizioni e divieti.