Il grosso l’ha fatto a Gaza l’offensiva israeliana “Margine protettivo” con i suoi bombardamenti devastanti. Il resto le ruspe mandate dalle autorità militari a demolire strutture edilizie e infrastrutture “non autorizzate” nell’Area C, il 61% della Cisgiordania che resta sotto il pieno controllo dell’esercito israeliano 23 anni dopo la firma degli Accordi di Oslo. In cinque anni, dal 2011 al 2015, l’Unione europea ha perduto in questo modo circa 65 milioni di euro, 63 a Gaza e due in Cisgiordania. Erano soldi del contribuente europeo investiti in progetti a sostegno dell’economia, dell’istruzione, di infrastrutture e molto altro nei centri abitati palestinesi, piccoli e grandi, nell’Area C, oppure nella Striscia di Gaza. Perdite ingenti alle quali però non sono seguite proteste o condanne pubbliche da parte dell’Unione europea. Un atteggiamento diverso, almeno in parte, dal passato. L’Ue fece sentire la sua voce negli anni della seconda Intifada palestinese (cominciata nel 2000) quando la rioccupazione da parte di Israele delle città autonome della Cisgiordania, avvenuta nella primavera del 2002, fu accompagnata da non poche distruzioni di progetti finanziati dagli europei. Lo stesso l’Ue fece durante e dopo l’operazione militare israeliana “Piombo fuso” a Gaza (2008). Stavolta invece resta in silenzio.

A calcolare queste decine di milioni andate in fumo è stata l’Ong di Ginevra “Euro-Mediterranean Human Rights Monitor” che tra qualche giorno pubblicherà i dati completi in un rapporto che sarà consegnato all’Ue. Nei primi tre mesi del 2016, sottolinea l’Ong, il numero delle demolizioni in Cisgiordania è cresciuto di tre volte, passando da 50 strutture abbattute mensilmente nel triennio 2012-15 a 165 distrutte mediamente tra gennaio e marzo di quest’anno. 120 di queste strutture edilizie e altre infrastrutture costruite a vantaggio della popolazione civile palestinese erano state finanziate con fondi dell’Ue. 31 associazioni per i diritti umani nel 2015 hanno condannato la distruzione di tante proprietà palestinesi e di progetti sponsorizzati dalla cooperazione internazionale, non solo europea, dichiarati “illegali” dalle forze di occupazione israeliane.

Nell’ultimo anno Israele ha fatto la voce grossa con l’Europa, accusata di finanziare iniziative per i civili palestinesi – come la costruzione di stradine agricole, reti idriche locali per l’irrigazione e l’acqua potabile, strutture edilizie scolastiche o per l’allevamento e tanto altro – senza prima ricevere il via libera dell’Amministrazione Civile che per conto dell’esercito “governa” i palestinesi sotto occupazione nell’Area C. Le autorizzazioni però sono concesse con il contagocce. Il 98% dei permessi richiesti, secondo un calcolo fatto dai palestinesi, viene respinto perchè Israele pianifica l’annessione futura di ampie porzioni (di tutta chiede Casa ebraica) dell’Area C dove si trovano il 10% circa della popolazione palestinese della Cisgiordania e gran parte dei coloni ebrei residenti degli insediamenti costruiti in Cisgiordania in violazione della legge internazionale. A questo si aggiunge anche l’irritazione di Israele per la decisione presa dalla Commissione europea di richiedere una etichettatura diversa dal “Made in Israel” per le merci prodotte negli insediamenti colonici perchè si trovano nella Cisgiordania occupata.

I risultati dell’indagine dell’Ong “Euro-Mediterranean Human Rights Monitor”, sono stati anticipati da al Jazeera nel giorno in cui il ministro dell’agricoltura Uri Ariel, del partito nazionalista religioso Casa ebraica, è tornato ad insistere per l’annessione unilaterale a Israele, definitiva e ufficiale, della Area C preceduta, ha spiegato, dall’«allontanamento» delle «poche migliaia di arabi» che ci vivono (in realtà i palestinesi che vi risiedono sarebbero circa 300mila). Ariel non ha spiegato come verrebbero “rimossi” i palestinesi dalle loro terre e dalle loro case. Storicamente una parte della destra israeliana, o almeno quella più estrema, ha sempre visto nel “transfer”, ossia la deportazione di quote di popolazione palestinese, come una soluzione. Le idee di Ariel sono state bollate dall’Autorità nazionale palestinese come «istigazione» e «odio». «Non è la prima volta che esponenti israeliani indulgono ad una retorica senza senso, razzista e disumanizzante nei confronti dei palestinesi» ha commentato Jamal Dajani, direttore delle comunicazioni del primo ministro dell’Anp Rami Hamdallah.