Luca Ronconi ha lasciato le «consegne» di un anno di lavoro attorno a questa Lucia di Lammermoor ai suoi collaboratori più fidati. Senza entrare nella retorica dei «testamenti» (ognuno di loro ha lavorato al meglio come sempre) non si può non sottolineare un elemento dovuto certamente al caso, ma che conferma l’attenzione mai strillata, e il senso profondo del tempo, che il regista scomparso ha sempre avuto,con sottile ma deciso understatement. Come quando allestì, per fare un solo esempio, quel capolavoro contro la guerra di Karl Kraus nella vecchia sala Presse del Lingotto, e proprio durante le ultime repliche de Gli ultimi giorni dell’umanità, scoppiò nella sorpresa generale la prima guerra del Golfo…

 

 

 

 

La tragedia di Lucia di Lammermoor, che la porta alla follia e alla morte, e per la quale tutti con il cuore facciamo il tifo, è andata in scena a Roma il 31 marzo scorso, proprio nel giorno in cui per legge cadeva, non senza polemiche o proteste da parte di qualcuno, la definitiva chiusura degli istituti psichiatrici giudiziari. E la scena in cui l’eroina di Donizetti si muoveva, era proprio quella di un manicomio femminile, popolato di donne stralunate dietro le sbarre, che hanno stupito se non irritato qualcuno tra gli spettatori. A confermare che dietro la finzione di uno spettacolo, seppur fatto di grandi amori, duelli, divieti e passioni, anche in musica, si spiega spesso, meglio che con le parole, la realtà fuori del teatro, e le sue radici. Come Ronconi ripeteva, dipende solo dall’occhio con cui un oggetto artistico viene guardato