Mentre si è aperta a New York la sessione finale dei negoziati Onu per stabilire uno strumento legalmente vincolante che proibisca le armi nucleari, si apre oggi, 18 giugno, a Brooklyn la conferenza No Nukes, No War, No Walls, No Warming.

Anima dell’iniziativa è la Rete internazionale Peace and Planet, co-diretta da Joseph Gerson dell’American Friends Service Committee (Afsc), organizzazione fondata dai quaccheri nel 1917 per assistere le vittime della prima guerra mondiale.

Quali sono gli obiettivi di Peace and Planet?

La Rete è nata nel 2014 per le mobilitazioni popolari in vista della revisione, nel 2015, della Conferenza delle parti del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp). Nel 2015 alla marcia internazionale a New York, con oltre 10mila persone, parteciparono 1.200 sopravvissuti giapponesi alle atomiche del 1945. La nostra petizione per la revisione del Tnp ha raccolto 8 milioni di firme. Vogliamo collegare persone che si occupano di tematiche in apparenza separate, in realtà legate da meccanismi di causa-effetto.

Dal nucleare al circolo vizioso che lega le guerre ai popoli con quelle al pianeta?

Il lavoro per la pace, la giustizia e la sostenibilità ambientale si collega direttamente all’impegno per un mondo libero dalle armi nucleari. Facciamo un passo indietro storico. L’atomica Usa sviluppata con il progetto Manhattan dichiarava scopi di deterrenza rispetto al pericolo nazista; e in seguito lo stesso motivo ha ispirato altre nazioni, come la Cina o la Corea del Nord (dopo che a più riprese era stata minacciata dagli Usa di un attacco nucleare).

Ma nei fatti, gli Stati uniti sterminarono le popolazioni di Hiroshima e Nagasaki allo scopo di finire subito la guerra e assicurarsi che l’impero Usa non dovesse condividere sfere di influenza con l’Urss. Da allora, gli Stati uniti hanno preparato o minacciato di iniziare guerre nucleari circa 30 volte. Il loro arsenale nucleare è uno strumento di influenza strategica; per la Russia lo è molto meno.

C’è un ovvio rapporto fra impero e profitto, così come fra impero e dominio. Non per niente, da una parte gli Usa hanno brandito la minaccia nucleare per la loro egemonia in Medio Oriente, con quel che ne derivava: massicci profitti alle compagnie petrolifere, sicurezza energetica e al tempo stesso minaccia ricattatoria di un possibile taglio degli approvvigionamenti alle economie europee e asiatiche.

Quanto agli effetti ambientali e sociali di un seppur limitato scambio nucleare, per esempio fra Pakistan e India, gli scienziati del gruppo Physicians for Social Responsability hanno calcolato che la coltre di fumo conseguente potrebbe provocare una devastante carestia per due miliardi di persone.

Parliamo delle guerre non nucleari: opposizione di massa alla guerra in Iraq nel 2003 e «nulla» per la guerra Nato alla Libia. Perché?

La guerra del 2003 fu uno spartiacque; oltre alle menzogne e alla propaganda, ci fu l’occupazione fisica dell’Iraq. Ma soprattutto, negli ultimi anni ha giocato la sensazione di stanchezza e disappunto, dopo mobilitazioni di massa infruttuose. Ecco perché è adesso cruciale pensare a quali azioni possano avere un impatto; e a come coinvolgere nuovamente moltissime persone nella sfida della pace.

Negli Stati uniti siamo imbarazzati dalle forze al comando, distruttive in termini di guerra e di attacco al pianeta. Speriamo che i movimenti europei facciano quello che si fece qui durante la guerra al Vietnam. Le recenti proteste a Bruxelles e quelle annunciate a Londra, non stanno forse influendo sulla decisione del suo viaggio nel Regno unito?

Cosa vi aspettate dalla conferenza di Brooklyn?

Alcuni progressi per la mobilitazione su questioni intrecciate: prevenzione delle guerre, ambiente, diritti degli immigrati, islamofobia. Dobbiamo sviluppare strategie e a partire dal trattato per l’abolizione delle armi nucleari: e con azioni diverse da un paese all’altro. Ad esempio, l’Italia sembra essersi accodata agli Stati uniti nel boicottaggio dei negoziati. I pacifisti italiani dovrebbero esigere lo sfratto delle decine di atomiche ospitate in basi militari straniere.

Qui negli Stati uniti, oltre a chiedere al governo di onorare l’articolo IV del Trattato di non proliferazione (l’obbligo di impegnarsi in buona fede nelle trattative per l’abolizione), dobbiamo focalizzarci sullo scandalo dei super-profitti del complesso militar-industriale. Gli Stati uniti da soli nei prossimi 30 anni hanno preventivato un investimento di 1,2 trilioni di dollari per l’ammodernamento del settore nucleare. L’altro scandalo è la vendita di armi, semprer più imponente, a Riad. La settantennale alleanza Usa-Saud è stata un disastro per il mondo.