Anche un serial killer riesce a fare meditazione, a contattare livelli di calma profonda e avere un’importante trasformazione interiore, persino superiore a quanto avviene con la psicanalisi. Nello Zen si parla di condizionamenti (mentali, sociali, culturali, familiari, storici…) e afflizioni (ignoranza, paura, rabbia, odio…) che offuscano la nostra vera natura luminosa. Chi non è in grado di gestire le proprie emozioni e l’aggressività connaturata all’uomo, finisce preda delle stesse”. Allora che dire dell’attuale ministro degli Interni che chiude i porti e fa morire la gente in mare? “Una persona che si comporta con tutto quest’odio, tutta questa rabbia, quanto sta male? Quanto dolore ha in sé per rovesciare crudeltà su persone che neppure conosce? Poiché chi sta male scarica la sua sofferenza sugli altri; la meditazione (che è il mio percorso, per altri può essere altro) aiuta le persone a contattare la propria sofferenza e prendersene cura, a guardare ansie paure angosce che guidano la propria esistenza, a riconoscere il proprio ego ipertrofico e le ferite profonde dentro di sé invece di proiettarle sull’altro da sé, in questo caso i migranti. Ma -come per chiunque- tale aiuto va desiderato, non imposto”.

L’abbraccio di San Quintino

Dario Doshin Girolami nasce a Roma il 29 settembre 1967 da una famiglia di cineasti: figlio del regista Marino e della costumista Silvana Scandariato, fratello dell’attore Enio (Fellini, Visconti…) e del regista Enzo G. Castellari (adorato da Quentin Tarantino e citato in Bastardi senza gloria). Il suo destino sembrava inciso geneticamente, ma a sei anni il medico curante -nonché insegnante di yoga e meditazione- vede nel bambino vibrazioni speciali, gli trasmette disciplina e testi orientali: un imprinting fatale che diviene nel tempo scelta di vita, studio e pratica, senza nulla togliere al gioco o agli amori e all’infinita attrazione per il mare e i suoi sport. Seguono la laurea e l’opzione monastica, con specifici approfondimenti sulle emozioni che lo conducono al Centro Zen di San Francisco, guidato da Eijun Linda Cutts. Lì lo Zen intreccia valori essenziali in Occidente: “la democrazia, il femminismo, l’uguaglianza di genere, infatti è la badessa la mia maestra, quella che mi ha trasmesso il Dharma, ossia l’autorizzazione ad insegnare a mia volta, mentre in Oriente c’è separazione uomini/donne e queste sono subordinate”. Girolami fa esperienza nel penitenziario di San Quintino coi detenuti condannati a morte (“uno di loro mi disse che ero la prima persona ad averlo abbracciato”), poi a Roma fonda il Centro Zen l’Arco, sposa una fascinosa docente di danza indiana, insegna Taichichuan, tiene seminari e corsi di meditazione all’università e nel carcere di Rebibbia (una sua collaboratrice opera nel settore femminile).

Il famigerato Ashin

La fede buddista è certamente tra le più pacifiche, ma l’inaffidabilità umana fa breccia in tutti gli ambiti e in tutte le epoche, per cui il cronista non può eludere domande sui massacri odierni compiuti esattamente da chi per eccellenza predica la tolleranza: è recente il documentario girato clandestinamente dal regista Barbet Schroeder sul famigerato monaco birmano Ashin Wirathu (Il venerabile W), fautore di una pulizia etnica antimusulmana e di sterminio della minoranza Rohingya, con l’ausilio della giunta militare al potere, il favore pressoché totale del popolo fanatizzato e l’appoggio di San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace nel 1991 (ora in tanti ne chiedono la revoca); non dissimile il nazionalismo religioso nello Sri Lanka contro cristiani e musulmani. Girolami non si scompone, respira profondamente come volesse assorbire il male del mondo e purificarlo, riabbozza un sorriso di misericordia per le debolezze e le ambiguità costitutive nella nostra specie: “Occorre bloccare e ingessare chi fa del male a sé e agli altri, non girare la testa altrove, come sono fermati e ingessati coloro che incontro in carcere. Personalmente mi ispiro al modello di Gandhi, faccio del mio meglio per attenermi ai precetti filosofico-religiosi, ma se un malvivente non sente ragione chiamo un carabiniere. Ognuno di noi ha lati oscuri di rabbia e paura che -se non contattati e curati- possono portare alla follia hitleriana, al razzismo, al genocidio. Wirathu va contro gli insegnamenti del Buddha, mi vergogno per la sua condotta, la nostra comunità -soprattutto occidentale- condanna a voce alta il clero buddista birmano legato al regime militare. Dobbiamo illuminare gli angoli bui che ci affliggono dentro: essere buddisti non significa essere santi, siamo umani e i nostri precetti etici e morali devono orientare il nostro cammino, ma proprio perché umani rischiamo sempre di perdere la bussola. Pure il clero zen giapponese è contravvenuto ai nostri principi di etica, saggezza e compassione: nella Seconda guerra mondiale ha sostenuto lo sforzo bellico nazionalista e -mi duole il cuore a dirlo- alcuni monaci hanno imbracciato le armi violando apertamente l’insegnamento del Buddha”.

Dario Girolami è persona assai evoluta, il suo Centro Zen è aperto a tutti senza distinzione di “età, genere, orientamento sessuale, etnia, nazionalità…”, la scuola giapponese Soto Zen di cui fa parte consente il matrimonio e le badesse nei templi. Fra le sue varie cariche, egli è membro fondatore di CMC (Consciousness Mindfulness Compassion), coordinatore Ebu (Unione buddista europea), copresidente di RfP (Religions for Peace). È cosciente di avere potere su chi gli si rivolge in quanto Maestro, come è cosciente della propria fallibilità in quanto essere umano; perciò, sebbene in teoria autosufficiente e indipendente come Maestro col livello iniziatico più alto (a maggio 2019 diviene Abate del Tempio dell’Arco), la sua continua autosorveglianza s’accompagna alla supervisione della sua storica insegnante spirituale e di uno psicologo, “così verifico che il potere non mi dia alla testa deviando dalla rettitudine e dall’umiltà”.

Insensatezza e compassione

L’unica risposta possibile all’insensatezza della realtà nella quale viviamo è la compassione, volerci bene e sostenerci, senza distogliere lo sguardo dalla sofferenza di tutti gli esseri viventi, senzienti e non senzienti, poiché siamo tutti interrelati e interconnessi in una dimensione impermanente: il carcere è un buco nero che nessuno vede, la società lo rimuove, ma lì ci sono umani sofferenti; troppo facile condannarli: che vita han fatto per finire lì?, e noi, la buona società, cosa abbiamo fatto per loro? Siamo individui unici e irripetibili, ma siamo pure una sola natura in una società definita. Quando entro in carcere so di incontrare dei malfattori, magari degli assassini, ma io li incontro come esseri umani (né m’interessa il reato commesso), mi preme dargli rispetto, affetto, attenzione, è questo che può cambiare la persona, insieme all’investigazione interiore per capire da quali ferite profonde originano il male e le difese di rabbia e odio. In una lettera bellissima un ex detenuto mi ha scritto: tu sei il primo che mi ha fatto sentire di valere qualcosa ”.