Il Nobel per la pace 2017 va all’Ican (International campaign to abolish nuclear weapons) un network per l’abolizione delle armi tomiche fondato nel 2007 a Vienna. L’Ican raggruppa 468 organizzazioni ed è presente in 101 paesi.

A OSLO quest’anno, prima dell’assegnazione del Nobel per la pace, devono aver pensato a due cose in particolare: in primo luogo al fatto che nell’ultimo decennio alcuni dei vincitori del premio non si sono rivelati poi dei grandi successi; pensiamo a Barack Obama o all’Unione europea.

Altri, protagonisti del premio di anni e anni fa, come Aung San Suu Kyi (premiata nel 1991) sono nell’occhio del ciclone – oggi – proprio perché accusati di violare diritti umano. Un altro premio che fece discutere – quello assegnato al dissidente cinese Liu Xiaobo – non può certo considerarsi un grande successo: Oslo e quella mobilitazione iniziale che ci fu nel 2010, non ha evitato la morte di Liu Xiaobo avvenuta quest’anno, per di più in carcere. E anche quello dell’anno scorso affidato al presidente colombiano Juan Manuel Santos lscia a desiderare: Santos è stato premiato per l’accordo di pace con le Farc, poi bocciato da un referendum. Serviva dunque qualcosa che potesse avere una sorta di apprezzamento generale, almeno in teoria e a parole. In secondo luogo a Oslo devono aver tenuto conto e non poco della situazione attuale.

MAI COME IN QUESTI GIORNI il mondo è spaventato di fronte a nuove minacce nucleari: a questa paura chi ha contribuito di più è sicuramente è Donald Trump: prima ha gestito solo con i muscoli la relazione con il leader nord coreano Kim Jong-un (che indubbiamente ci ha messo del suo) arrivando al punto di minacciare, reciprocamente, attacchi militari.
Poi non contento di sfidare Pyongyang ha rimesso in discussione l’«Iran deal», raggiunto dal suo predecessore; una decisione che rischia di riportare una tensione che sembrava attenuata con Teheran. La vittoria di Ican, dunque, sembra davvero una risposta e un ammonimento per i tempi che corriamo, ma contrariamente a quanto si possa pensare, non è detto che metterà d’accordo tutti.

L’ICAN è stata infatti determinante per arrivare, nel luglio di quest’anno, al nuovo trattato Onu per la messa al bando delle armi nucleari approvato da 122 Paesi (ma senza la partecipazione delle nove potenze nucleari e dei membri della Nato tra cui l’Italia), che entrerà in vigore quando 50 stati lo ratificheranno. Ecco perché non è che alla notizia di questo Nobel ci siano state grandi reazioni da parte degli stati «nucleari». «Quest’anno il premio per la pace è anche un appello agli Stati perché comincino negoziati seri rivolti a una graduale, bilanciata e attentamente monitorata eliminazione delle 15mila testate nucleari presenti al mondo», ha spiegato la presidente del Comitato per l’assegnazione del Nobel, Berit Reiss-Andersen.

BEATRICE FIHN, direttrice esecutiva di Ican, si è detta onorata, perché «è un onore immenso, difficile da descrivere», aggiungendo che «è un premio importantissimo ai milioni di attivisti e cittadini preoccupati che lavorano dal 1945 alla lotta contro le armi nucleari, un tributo ai sopravvissuti di Hiroshima e anche alle vittime dei test nucleari che ancora si effettuano», un chiaro riferimento a quelli nordcoreani. Poi, sollecitata esplicitamente sulle politiche del presidente americano Trump, nei confronti della Corea del Nord, ha detto che «non si può minacciare di uccidere milioni di persone con il pretesto della sicurezza. Questo – ha avvertito – ci fa vivere in una situazione di insicurezza permanente. È un comportamento inaccettabile che non appoggeremo mai».

NELLA SUA MOTIVAZIONE, il comitato norvegese ha rimarcato che l’Ican, negli ultimi anni, ha conferito «agli sforzi per raggiungere un mondo senza armi nucleari una nuova direzione e un nuovo vigore».