Pianista, cantante napoletano – ma di frecce al suo arco ne ha molte altre ancora – Lorenzo Hengeller ha da poco pubblicato il quarto album della sua ultradecennale carriera, Gli stupori del giovane Hengeller, dall’ironico titolo che gioca ovviamente con il Werther di Goethe, ma – spiega lui: «anche con l’ozio, non letterario ma musicale, che basato sulla pigrizia mi ha sempre portato alla curiosità e all’incanto: e quindi il passo verso lo stupore è breve…».

Dodici canzoni, sette originali cinque ripescate dal repertorio altrui, belle leggere ma costruite con cura certosina degli arrangiamenti. Roba d’altri tempi si direbbe, e non a caso visto che i due grandi amori musicali di Hengeller sono proprio il conterraneo Renato Carosone e Lelio Luttazzi, del quale propone addirittura un inedito, gentilmente donato dalla vedova del maestro triestino, Rossana Luttazzi, dal titolo La curiosità, testo di Giorgio Calabrese. «Da tempo – spiega Hengeller – sono legato alla Fondazione Luttazzi e Rossana mi parlava di inediti. Me ne ha spediti alcuni e La curiosità era il brano giusto, con quel tocco di pruderie che si palesa tra le righe del testo dove recita ’si muovono le mani’ e che ho avuto la fortuna di ascoltare in un provino inciso dallo stesso Lelio». Lo stupore del titolo è quasi uno «stato di necessità» naturale per l’artista: «Mi stupisco fortunatamente ancora di tutto, certe cose – come Carosone con le palle da tennis che gioca con il pianoforte – mi incantano ieri come oggi».

Nel 2012 Hengeller ha lavorato con Santoro, era l’ospite fisso di Servizio pubblico su La7, e su questa esperienza ha costruito il pezzo che apre il cd, Talk show: «Ne ho sentite e viste delle belle, soprattutto la puntata con Berlusconi. Come musicista ero assolutamente fuori luogo, ma proprio per questo ero molto stimolato. Mi divertivo a scoprire i punti deboli dei politici che sotto le telecamere sembravano assolutamente sicuri di sè e invece si rivelavano pieni di debolezze. Il brano nasce da questo ma anche dall’idea di mostrare come i pattern linguistici dei talk sono uguali da vent’anni. Dal ’mi consenta’ berlusconiano all’incredibile ’sono indagato ma sono sereno’…».

Una raccolta ricca di sapori e dai tanti ospiti, come la vocalist etnea Patrizia Laquidara che interviene in L’Ammore è na rosa, un valzer molto classico: «Volevo scrivere un pezzo come nella tradizione napoletana di primo novecento, svuotandolo della retorica che spesso Napoli e la lingua napoletana portano con sè… E Patrizia era l’interprete perfetta, sono un suo fan da anni e amo il fatto che sia una cantante priva di retorica. Quando canta ti trasmette inquietudine, da una parte ti accarezza e dall’altra ti pugnala».

Canciones no. 6 è una perla pescata nel repertorio di un compositore classico spagnolo, Frederic Mompout: «una ballata jazz perfetta». E infatti ha chiamato Enrico Rava: «È un grande ma non semplicemente come musicista, perché ha una mentalità aperta. Non ha barriere, può suonare Parlami d’amore Mariù e passare a Mingus. Per lui la musica bella ha lo stesso valore, soprattutto se è divertimento. Quando ci siamo visti a Genova per registrare, ci sono bastati due minuti per entrare in completa sintonia. Così sembravano tutti della stessa età, tutti uguali. E questa è una caratteristica dei grandi».

Un altro omaggio a un maestro scomparso, Gianni Ferrio, e il suo Urgente Cha Cha , con Daniele Sepe al sax: «Il titolo dice poco ma la canzone la conoscono tutti, nel film Totòtruffa era la figlia di Totò a intonarla in collegio. Daniele l’ho chiamato perché amo il suo mondo visionario molto personale che può piacere o non piacere, ma è molto chiaro. Gianni Ferrio è come tutti i grandi di quell’epoca, amavano il jazz americano, suonavano da dio ma non si prendevano mai sul serio. Molti autori moderni danno invece l’impressione di scrivere per salvare il mondo, sono agitatissimi. Invece i grandi erano leggeri, distaccati. E se lo potevano permettere, perché sapevano fare tutto: suonare, cantare e parlare».