Realizzato in Qatar in circostanze davvero uniche, The Challenge – che stasera sarà presentato a Milano (cinema Arcobaleno, ore 21) inaugurando Filmmakerclub, un progetto di Filmmaker Festival e dell’Arcobaleno Film Center per portare nella città il cinema di ricerca internazionale – è il racconto di una competizione di falconieri che si svolge nel deserto. Non è un documentario, né banalmente la traslazione di finzione di un avvenimento, quanto la vera e propria messa in scena di uno sguardo che lavora con i materiali di un mondo per evocare in forme visive e plastiche l’architettura di uno stupore che si fa segno.

Yuri Ancarani possiede un senso dell’immagine a dir poco stupefacente e, soprattutto, sa esattamente come equilibrarlo all’interno di un racconto attraverso il montaggio e la durata dei singoli piani e delle inquadrature. L’approccio di Ancarani non condivide nulla con il documentarismo osservazionale che ormai è moneta corrente. Per Ancarani l’immagine è come se dovesse essere scolpita dalla materia stessa del cosiddetto reale per venire trasformata ed esposta allo sguardo. Nel suo film si seguono da un lato i falconieri che si recano verso il luogo del torneo in auto o in aereo e dall’altro un gruppo di motociclisti che a bordo dei loro bolidi attraversano il deserto. Ovviamente il commento sociologico è quanto di più lontano si possa immaginare dalla progettualità di Ancarani.

Ciò che si mette in gioco è una costruzione di sguardi che non si incontrano mai. Da un lato quello di chi filma, che si muove in piena vista come in modalità stealth, ossia sottotraccia, al di là o al di fuori del radar. Dall’altro quello adorante dei proprietari dei falchi e infine, l’elemento dirompente, lo sguardo degli uccelli, reso attraverso un complesso sistema di go pro che riprendono gli istanti della caccia in soggettiva.
L’altra presenza animale inquietante è quella dei maestosi predatori felini (ghepardi?) che osservano lo svolgersi del torneo con olimpico distacco reale. E mentre si organizzano i preparativi del torneo, i motociclisti rombano nel silenzio del deserto come una carovana di fantasmi presi da un altro immaginario e innestati in ancora altri sogni.

Ancarani riesce a lavorare con grande acume i margini di derealizzazione della sua stessa strategia iper-realista. Le inquadrature, tenute a lungo, con una sensibilità musicale addirittura ambient, si giustappongono senza mai saldarsi alle altre, creando così un forte sentimento di estraneazione. Nessun dialogo permette allo spettatore di orientarsi. L’invito è di calarsi completamente negli elementi sensoriali di una creazione che fa dell’eliminazione di tutti i punti di riferimento possibili la condizione prima per riorganizzare il visibile. Ancarani si muove con audacia lunare nel suo impero dei segni.
Opponendo la frontalità  delle inquadrature alle furiose soggettive dei falchi introduce un elemento di caos impensabile e imprendibile in un contesto che del perimetro inviolabile, ossia la razionalizzazione della competizione sportiva (e non), fa invece il suo elemento portante.

Con ragguardevole attenzione Ancarani è come se minasse dall’interno, ma senza mai rivelarlo compiutamente, lo spettacolo della ricchezza che si autocelebra, affidando proprio all’imprendibilità del volo dei falchi la possibilità di evadere, di pensare nuove modalità di percepire e pensare.
Il movimento del film sembra essere pensato come un organismo musicale; si pensa sovente alle partiture metalliche e distese degli Autechre osservando la precisione delle inquadrature di Ancarani che – a ben guardare – sono forse solo un altro modo di dare forma al caos del mondo.

In questo sensuale e a tratti gioiosamente perverso gioco di equilibri perennemente instabili, Ancarani si muove con una sensibilità compiutamente post-cinematografica. È senz’altro uno dei primi cineasti italiani ad avere intuito e lavorato sulla forma post-cinematografica del cinema. Ossia di un cinema che non solo ha perso il suo primato politico, formale e narrativo ma si è reinventato interfacciandosi con materiali spuri e altri sguardi. Rinunciando a tutte le mitologie. Ancarani è come se filmasse dalle origini della seconda apparizione del cinema. Le immagini astratte e monumentali di The Challenge (la sfida) dichiarano, nella loro assoluta e nuda assenza di passato, che un altro mondo, e quindi altre immagini, sono ancora possibili. Probabilmente è questa la vera sfida.