È un libro che racconta lo stupore degli incontri quello dell’artista inglese Charlie Mackesy Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo (Salani, pp. 128, euro 15,60), diventato un caso editoriale quando è stato indicato come il migliore tra gli albi apparsi fra gli scaffali dai librai di Waterstones e Barnes&Noble e quando ha venduto un milione di copie in un solo anno. Non a caso, è accaduto nell’anno della pandemia che proprio quelle vicinanze casuali e felici nega, facendo scontare giorni di solitudine, intrise di paure e malinconie a piccoli e adulti (infatti, il bellissimo libro è un vademecum per tutte le età). Qui, nella favola-parabola dal sapore filosofico che strizza l’occhio al Piccolo Principe di Saint Exupéry (anche con il personaggio della volpe prima diffidente poi solidale compagna in cerca della strada di casa), senza cavalcare asteroidi e pianeti ma semplicemente rimanendo con i piedi ben piantati sulla terra – o al massimo a penzoloni da un ramo d’albero – Mackesy descrive e disegna mondi che si intrecciano «quando ne hai bisogno». Universi che sono attraversati dal principio dell’innocenza dello sguardo e dal desiderio di conoscenza dell’altro da sé, dallo sconfinamento continuo tra incertezze interiori e fantasticherie a occhi aperti.
L’autore, che dice di essere nato in un freddissimo e nevoso giorno d’inverno, affida alla ciclicità del sole, del vento e delle gelide ombre la volubilità della vita stessa e con l’alternarsi di stagioni e di domande dei quattro amici compone un album affettivo dove ognuno accoglie le debolezze altrui e sfodera coraggio nel momento della necessità. L’ode è tutta per il nostro pianeta e le sue commoventi e bistrattate bellezze. «Nulla è più potente della gentilezza», chiosa il cavallo saggio e quando la talpa chiederà al bambino se vede il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto la risposta sarà spiazzante: «sono contento di avere un bicchiere».
Fumettista, ritrattista, illustratore col pallino della musica jazz («è amorevole come la gelatina»), Charlie Mackesy ha viaggiato molto, si è lasciato alle spalle le aule universitarie, i corsi programmati per dipingere e ha scelto l’arte con piglio da autodidatta e linguaggio libero. Poliedrico sperimentatore di inattese consonanze, in collaborazione con Mandela ha lavorato a un ciclo di litografie per The Unity Series, ma è anche stato co-direttore di Mama Buci, un’impresa sociale per la produzione del miele in Zambia. Fino al giorno in cui ha incontrato i suoi «quattro musicanti» selvatici, strampalati pensatori di un mondo alla rovescia, dove il bene trionfa sul male.