Non avevo una dimestichezza di rapporti e relazioni particolari con Benedetto. Ma come spesso accade con chi si conosce e diventa corrispondente mediante lo scambio di pensieri e scritti, avevo forte la sua immagine in quella specie di piccolo pantheon dei riferimenti istintivi che ognuno di noi si costruisce.

Occupandoci, in maniera a volte maniacale e appassionata, degli stessi temi, che soprattutto qualche anno fa, non erano di corso comune, ci si trovava, come templari, in discussioni e convegni, anche a distanza, a dibattere, ed a volte a baccagliare, con quella voglia e rovente impeto che ci viene dalle passate esperienze politiche che condividevamo.

Facevamo parte di due generazioni diverse del manifesto.

Io più vecchio, della prima ondata, rivista-quotidiano-partito, lui successivo, tutto giornale.

Due matrici convergenti ma diverse, che segnavano i nostri diversi approcci al nuovo mondo digitale. Sicuramente lui fu uno dei pochissimi a sinistra a non farsi sorprendere, né a diventare poi contemplatore subalterno, dai nuovi processi, avendoli subito intesi come una forma più avanzata e conflittuale della politica, ancora di più, della lotta di classe.

Da oggi nella schiera a cui penserò di rivolgermi per reagire all’ennesima forzatura dei grandi monopoli dell’algoritmo ci sarà un vuoto per niente virtuale.

Ciao compagno Benedetto.