Numerosi musei sono dedicati agli strumenti musicali. A Berlino e Bruxelles, Parigi e Phoenix, si può passeggiare in stanze pieni di manufatti provenienti da epoche passate e dai luoghi più disparati. Percorrendo queste sale, per esempio, si può ammirare la squisita bellezza di un violino Stradivari o l’imponente stazza di un clavicembalo francese. A catturare la curiosità dei tanti visitatori ci sono anche meraviglie dimenticate come la tromba marina o esperimenti falliti come il corno dalle sette campane di Adolphe Sax. Mancano però, anche alla collezione più completa, tutti quegli interessanti manufatti che mai davvero hanno visto la completezza, i cosiddetti strumenti musicali immaginari. Di queste opere, bocciate a causa di una certa impraticabilità e impossibilità, ne abbiamo testimonianza negli scritti, nei disegni, a volte persino negli schemi dettagliati creati dai vari artisti. Se pensate però che nessun museo possa accogliere queste meraviglie dell’immaginazione vi sbagliate, c’è, e si chiama Museum of Imaginary Musical Instruments, e le sue mura e pareti sono un sito web che dal 2013 ospita una vasta collezione di opere multiformi e visionarie selezionate dai musicologi americani Deirdre Loughridge e Thomas Patteson.

Naturalmente non esiste nessuna sede fisica, e vista la sua natura non potrebbe essere altrimenti, ma possiede un ricco catalogo aggiornato costantemente. Si tratta di un museo unico nel suo genere, una vetrina di strumenti musicali che non producono nessun suono, ma esistono solo come diagrammi, disegni, descrizioni; artefatti concettuali che non hanno mai compiuto il passaggio dalla fantasia al mondo reale, ma che non per questo posseggono meno importanza. «I nostri strumenti sono oggetti – affermano i curatori – la cui forma è dettata dalla mente umana. Trafiggono la nostra mente con potente energia simbolica e accenni di possibilità solo intuite. Fanno parte, a tutti gli effetti, del patrimonio culturale musicale».

Nella collezione ci si sposta dagli ameni strumenti di tortura di epoca romana (il Toro di Falaride descritto da Luciano) ai suoni futuribili delle sequenze di dna immaginati da Richard Powers nel suo ultimo romanzo, Orfeo, del 2014. Ci si può imbattere, in quei corridoi virtuali, nella Tromba di Torricelli, caratterizzata da una precisa descrizione matematica ma di una lunghezza infinita, nell’orchestra di strumenti a vapore immaginata dal caricaturista francese JJ Grandville, o per i cultori delle bizzarrie cinematografiche, nell’orgasmatron utilizzato da Duran Duran contro Barbarella (la morte dovrebbe avvenire per estremo piacere sessuale, scatenato da una sequenza di note). Proviamo però a tracciare, anche oltre al catalogo del Museum of Imaginary Musical Instruments, le più curiose fra queste bizzarrie dell’immaginazione musicale.

CASE SONORE

Avete mai sentito parlare delle «case sonore» di Francis Bacon? Il filosofo descrisse questi spazi, utili per manipolare il suono, nella sua Nuova Atlantide (1626), un’opera utopica in cui un viaggiatore europeo, perso in mare, si imbatte in una società che vive sulla mitica isola di Bensalem. Le «case sonore» rappresentano il ramo acustico del programma di ricerca sponsorizzato da quell’utopico paese. Molti lettori oggi le trovano premonitrici, tanto da interpretare una frase della Nuova Atlantide («vari strumenti musicali anche a voi sconosciuti») come una conoscenza anticipata di quello che saranno, per esempio, i sintetizzatori.

Per confermare questa tesi basti dire che uno dei primi ad esplorare le possibilità musicali degli strumenti elettronici, Daphne Oram, aveva una certa familiarità con la Nuova Atlantide di Bacon. Nel 1958, mise in bella vista un passaggio del libro del filosofo, quello appunto dedicato alle case sonore, sulla porta del Radiophonic Workshop, il dipartimento di nuova fondazione, all’interno della Bbc, rivolto alla musica elettronica. Gli strumenti immaginari d’altronde aiutano le idee a circolare insieme al desiderio (o alla paura) della loro realizzazione, come ha osservato lo stesso Bacon.

Athanasius Kircher è considerato uno tra i più grandi eruditi del Seicento, da alcuni paragonato per il talento inventivo a Leonardo Da Vinci, grazie a varie invenzioni tra cui una macchina calcolatrice e la lanterna magica. Ferrato in ogni materia e campo del sapere, scrisse una quarantina di opere imponenti e lasciò centinaia tra manoscritti e lettere; in medicina intuì la teoria dei bacilli come causa del contagio della peste, si occupò di ottica e della natura della luce (Ars magna lucis et umbrae, 1645). Il suo più grande apporto al mondo degli strumenti musicali è dato dal tubo cochleato che fu descritto, nel suo trattato sull’acustica, Phonurgia nova (1673), come un dispositivo per amplificare la voce. Anche un suo discepolo e studente, Filippo Bonanni, discusse dell’importanza di quest’apparecchio avveniristico nel suo libro, Gabinetto armonico pieno d’istromenti sonori indicati e spiegati, del 1722, nel quale, anche se probabilmente mai costruito, lo strumento appare tra i manufatti musicali sia di uso comune europeo che di altre parti del mondo. Come spiegò Bonanni, il tubo cochleato amplifica la voce molto più di un tubo dritto; queste asserzioni derivavano direttamente dallo studio della natura, dal fatto che le orecchie di lepri e altri animali, noti per l’udito forte, avevano la forma a spirale. Alla luce poi delle successive teorie sulla propagazione del suono, il design dello strumento apparirebbe fondamentalmente imperfetto, il concetto non in linea con la fisica di base, qualcosa di difficilmente riproducibile.

Bisogna dire che i trattati di Kircher includevano molte cose indubbiamente fantastiche (i draghi, per esempio, come animali reali), quindi non stupisca che per lo studioso e il suo discepolo il tubo cochleato fosse descritto come uno strumento di uso comune.

PSICOLOGIA

Allo stesso modo, in bilico tra fantasia e possibile realtà, è il curioso dispositivo noto come il pianoforte a gatti. Lo strumento fu inventato, sotto forma di «organo a gatti» (all’epoca non esistevano i pianoforti), sempre da Athanasius Kircher nel XVII secolo. Secondo uno scritto elaborato nel 1657 dal suo allievo Caspar Shott (o Gaspar Schott), Kircher avrebbe inventato lo strumento per curare un principe italiano caduto in depressione; il pianoforte a gatti, tuttavia, non riuscì a far guarire il monarca. Kircher impiegò i gatti poiché in Europa, nel periodo che va dal XV al XVIII secolo, perseverava ancora la caccia alle streghe e i felini venivano considerati creature demoniache. Pare più probabile, comunque, che il pianoforte a gatti sia stata una semplice invenzione letteraria; Kircher lo citò infatti in un suo romanzo scritto nel XVII secolo, in cui ne elogiò la musicalità e ne descrisse i minimi particolari, anche se con un tono avente leggere connotazioni ironiche.

Più tardi lo psichiatra tedesco Johann Christian Reil scrisse un resoconto dove spiegò il corretto modo per utilizzare un pianoforte a gatti per il trattamento dei pazienti la cui concentrazione era notevolmente peggiorata. Reil sosteneva che tutti coloro che avessero sentito lo strumento musicale, non avrebbero potuto ignorare il suono dei gatti torturati, riacquistando così la capacità di concentrarsi. Nella sua opera Rhapsodieen über die Anwendung der Psychischen Curmethode auf Geisteszerrüttungen lo studioso scrisse che «quando il malato è disposto in un modo che egli non possa celare la propria espressione facciale e quindi può osservare il concerto di questi animali, è possibile portare lo stesso nel suo stato fisso di consapevolezza».

Il pianoforte a gatti somiglierebbe in tutto e per tutto a un normale organo. Tuttavia, al posto delle canne, lo strumento presenta una serie di felini rinchiusi in gabbie in modo che essi non abbiano la possibilità di scappare. Questo rende dubbia la precisione della classificazione di questo strumento come «cordofono». I gatti, disposti in base all’intensità e al timbro dei loro miagolii, avrebbero le code posizionate al di sotto della tastiera, in modo che se si preme un tasto il felino prova dolore, emettendo un lamento. Sono stati descritti numerosi metodi per fare in modo che il gatto provi dolore: tra questi si annoverano un meccanismo che tira la coda una volta premuto un tasto oppure un chiodo che, una volta prodotta la nota musicale, andrebbe a colpire la coda del felino.

La prima immagine conosciuta di una serie di gatti disposti come elementi che producono il suono che devono essere attivati dalle dita risale alla fine del sedicesimo secolo, vale a dire, più di cento anni prima dell’invenzione del pianoforte. Il pianoforte a gatti è stato descritto dallo scrittore francese Jean-Baptiste Weckerlin nel suo libro Musiciana, extraits d’ouvrages rare ou bizarre: «Quando il regnante spagnolo Filippo II soggiornava a Bruxelles nel 1549 per visitare il padre Carlo V vide un corteo del tutto singolare. L’oggetto più curioso era tuttavia un carro che trasportava uno strumento capace di produrre la musica più particolare che si possa immaginare. A suonare l’organo era un orso. Lo strumento, al posto delle canne, presentava sedici gatti costretti in sedici gabbie. Le code dei felini erano poste al di sotto del pianoforte: una volta premuto un tasto, la coda corrispondente veniva tirata, il che avrebbe fatto deplorevolmente miagolare i felini. Lo storico Juan Christoval Calvete osservò che i gatti erano disposti in modo da produrre una successione di note dell’ottava … (cromaticamente, suppongo)».

Il pianoforte a gatto porta alla luce una scomoda connessione tra musica e abuso, tra il controllo artistico del suono e il trattamento senza cuore dei corpi che suonano. Giulio Verne ha dimostrato la connessione tra musica e sofferenza sostituendo gli umani con i gatti nel suo racconto M. Ré-dièze et Mlle Mi-bémol (Il signor Rediesis e la signorina Mibemolle, 1893). La novella racconta di un misterioso «organaro» che, in uno sperduto paesino della Svizzera, propone di restaurare gratuitamente l’organo della chiesa prima di Natale. Introdurrà così un particolare registro, costruito in canne di cristallo, ognuna delle quali riproduce la voce di un bimbo del paese. Dal punto di vista di un infante assegnato alla tonalità re maggiore apprendiamo la terribile verità: «…poi una corrente d’aria mi gonfia il petto, una corrente abilmente controllata, che porta il suono fuori dalle mie labbra. Voglio stare zitto, ma non posso. Non sono altro che uno strumento nelle mani dell’organista. Il suo tocco sulla tastiera è come una valvola che si apre dolorosamente nel mio cuore».

LAMENTI

Essere uno strumento, suggerisce Verne, è l’esatto opposto dell’essere umano. Simile alla macchina immaginata qui sopra descritta, è il Torturetron, presente nel visionario film Le avventure del barone di Munchausen (The Adventures of Baron Munchausen) del 1988 diretto da Terry Gilliam: Dopo aver piazzato una scommessa con un sultano turco – la cui perdita si risolverà nella sua decapitazione – il protagonista ascolta con riluttanza il sovrano suonare la sua nuova opera sullo strumento a tastiera, che trasforma in musica i lamenti dei suoi prigionieri, incatenati e pungolati. Una scena estremamente truce, nella quale si assiste anche all’inutile fuga di un poveretto che viene rimesso a forza nel sadico apparecchio. La somiglianza con il pianoforte a gatto è chiara, con gli umani che sostituiscono gli sfortunati felini.

Non sempre però gli strumenti musicali immaginari finirono soltanto come utopie disegnate o raccontate. Guglielmo di Malmesbury, era un monaco cristiano e storico britannico, dell’ordine benedettino dell’abbazia di Malmesbury, nel Wiltshire, divenuto noto come storico e cronista. Spirito curioso e attento, si nutrì delle numerose opere presenti nei codici della biblioteca della sua abbazia, in particolare di quelle di Beda il Venerabile. In una delle sue opere, Gesta regum anglorum (1125), descrisse un organo a vapore costruito in una chiesa a Reims nel 1000 dC dall’abate benedettino Gerberto. Tuttavia, nessuna prova di un tale strumento musicale è arrivata a noi. Come spesso accade però fantasia e realtà a volte si interfacciano. Nel 1838, il reverendo James Birkett di Ovinsham, in Inghilterra, costruì un organo a vapore, simile a quello raccontato da Guglielmo di Malmesbury con otto tubi (che coprono un’ottava) da suonare in una grande inaugurazione ferroviaria. Nel 1845, l’americano Joshua C. Stoddard reinventò lo strumento, progettando una versione meccanica con cilindro spillato piuttosto che a tastiera.

Il caricaturista francese JJ Grandville immaginò un fantastico «concerto a vapore» di strumenti musicali. Il programma, descritto nel suo libro Un autre monde (1844), presenta pezzi come L’esplosione, mélodie pour 200 trombones ( L’esplosione: una melodia per 200 tromboni) e La locomotiva, symphonie à basse pression, de la orce de trois cents chevaux (La locomotiva: una sinfonia a bassa pressione con 200 cavalli) e Le moi et le non-moi, symphonie philosophique ut (Il sé e il non sé: sinfonia filosofica in C). Le vignette di Grandville raccontano una storia: l’impresario Dr. Puff, scoprendo una dozzina di «musicisti di ghisa» riposti nel suo inventario di stranezze meccaniche, decide di esibirsi in un sensazionale «concerto a vapore», esclamando che «l’unico mezzo per soddisfare le esigenze musicali del pubblico è inventare cantanti con palati di bronzo, per far funzionare un’orchestra a vapore!». Il programma per il «concerto meccano-metronomico strumentale, vocale e fenomenale» del Dr. Puff è una celebrazione parodistica della grandiosità esagerata dell’epoca. Allo stesso tempo affascinanti e inquietanti, gli strumenti antropomorfi di Grandville esprimono una fondamentale ambivalenza nello sviluppo di tecnologie sempre più potenti e autonome, viste dall’uomo anche con timore.

Charles Baudelaire osservò nel 1855: «Chiedete a qualsiasi buon francese cosa intende per progresso, vi dirà che è vapore, elettricità e illuminazione a gas». Oggi, si potrebbe dire che ciò che intendiamo per evoluzione è internet , le interfacce mente-macchina e le biotecnologie. Questi sono stati i primi stimoli per gli inventori del XX e del XXI secolo nella creazione di strumenti immaginari. Pat Cadigan, per esempio, nel romanzo Sintetizzatori umani (Synners, 1991), ipotizza che nel futuro, attraverso delle prese a otto buchi innestate direttamente nel cervello, sarà possibile produrre dei filmati, veri videoclip, che altro non sono che l’espressione diretta dell’attività onirica. Quindi il futuro diventa un periodo fertile dove far nascere e creare strumenti immaginari così come lo era stato, agli albori, per le terre straniere come nel caso della Nuova Atlantide.

Il romanzo che più di ogni altro farà da apripista per questa svolta fantascientifica nella storia in queste creazioni di finzione è L’an 2440, del 1771,di Louis-Sébastien Mercier. Anche qui, come in Bacon, un estraneo incontra una società la ricerca sperimentale viene intrapresa a beneficio dell’umanità: nel campo dell’acustica, per esempio, un dispositivo fatto di molle è in grado di imitare ogni tipo di suono, ed è usato per dissuadere un re dall’andare in guerra lasciandogli intendere gli orrori e il dolore che causerebbe. Ma se le case sonore si trovano in una terra straniera contemporanea, le sorgenti di Mercier esistono nella città natale dell’autore, settecento anni nel futuro ( la Parigi nel 2440). Il romanzo, generalmente considerato il primo esempio significativo di finzione ambientata avanti nel tempo, ispirò prontamente altre visioni futurologiche, come la fantastica immagine di un palloncino postale del XV secolo.

Tutte queste creazioni possono sembrare bizzarre, incredibili, inutili persino, ma fanno pensare come la fantasia umana sia davvero un universo senza nessun limite, capace a volte di anticipare i tempi o portare alla luce utopie di un mondo alternativo, magari uno di quelli dove un museo di strumenti immaginari raccoglie davvero un organo con gatti miagolanti o una mongolfiera volante.