Sono stato «censurato» da Franco Battiato. Qualche anno fa, per un testo che doveva accompagnare la pubblicazione postuma di una inedita antologia di Giuni Russo, lo avevo chiamato Lo «stregone» dell’Etna. Non gradì quelle parole, e il mio testo saltò. Amen.
Oggi però quella definizione mi torna: il senso di quella «stregoneria» è stato lo sforzo davvero «prometeico» di rendere cantabile e godibile da tutti quel grumo di radici che albergano, scavano e fioriscono in tutti i figli del 900. Forse perfino più della passione per il Sufi, Gurdjeff, i culti tibetani, che pure hanno impregnato la sua vita.