Anche quest’anno la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia darà ampio spazio alla realtà virtuale. Sebbene non vi sia un luogo fisico dedicato alla fruizione dei contenuti, come fu l’isola veneziana del Lazzaretto Vecchio per le precedenti edizioni a partire dal 2016, il numero dei lavori presentati aumenta includendo 24 paesi per un totale di 44 progetti.
«Venice VR Expanded», questo il nuovo titolo per la sezione, sarà infatti fruibile interamente online, o nelle sedi di alcune istituzioni culturali nel mondo che hanno aderito al progetto networking Satellite come il Museo del 900 M9 di Mestre, luogo più prossimo alla Mostra in cui poter accedere ai supporti per le esperienze immersive.

Mentre, dunque, la programmazione dei film della 77° Mostra continua ad occupare le storiche sale, a patto che si mantenga il distanziamento e si rispettino le norme anti covid, la sezione virtuale smaterializza anche la sua location, appoggiandosi a una piattaforma digitale che vede il sostegno di HTC Viveport, Facebook’s Oculus, VRChat e VRrOOm, sulla scia di altri festival come il Tribeca di New York. Bisogna dunque possedere la tecnologia per poter accedere ai contenuti e farne esperienza in modo adeguato poiché, come già la scorsa edizione aveva fatto notare, le opere selezionate dalla Biennale Cinema e dai curatori della sezione Michel Reilhac e Liz Rosenthal sembrano virare sempre di più verso l’interattività.

Tra le opere immersive troviamo contenuti radicalmente diversi per strategie narrative, ambiti esplorativi e durata. Dal gaming altamente interattivo a progetti di cui, sebbene si migri in prima persona nel contesto virtuale, si rimane fondamentalmente spettatori.

Mentre il concorso presenta le anteprime di cui la Mostra può vantare la selezione, la sezione Fuori Concorso raccoglie alcune delle opere migliori del panorama internazionale captate nei diversi festival o già immesse nei circuiti distributivi, nell’ottica di restituire agli spettatori una mappatura delle tendenze che quest’industria vastissima ed economicamente in crescita sta producendo.
Trentuno progetti immersivi in Concorso, nove progetti Fuori Concorso – Best of VR, frutto della selezione internazionale delle migliori opere di realtà virtuale, e quattro progetti sviluppati nel corso della Biennale College Cinema – VR.

Se delle opere in concorso potremo fare esperienza a mostra iniziata, certo alcune tendenze sembrano già piuttosto chiare. Da un lato l’uso sperimentale della realtà virtuale per rielaborare testi ed esperienze artistiche già storicizzate. È questo il caso di Here di Lysander Ashton, un’esperienza di cinque minuti che ritorna sul celebre fumetto di Richard McGuire del 1989, lavoro che allora scardinò la tradizionale narrazione lineare attraverso molteplici e parallele finestre temporali in uno sfondo spaziale statico. Ma anche il documentario a 360 gradi immersivo sembra essere ampiamente rappresentato: è il caso di Om Devi: Sheroes Revolution, di Claudio Casale, girato nell’Uttar Pradesh tra Varanasi e Agra e che si avvicina alla vita di tre donne indiane e alle lotte per i diritti che queste portano avanti, o anche Wo Sheng Ming Zhong De di Wan Daming che racconta, sincronizzando diverse esperienze individuali, il marzo cinese della pandemia COVID-19. Viaggi, sebbene virtuali, come è anche quello proposto da The NRB Bus Collective con il progetto African Space Makers, una serie VR interattiva della durata di quasi un’ora che si sposta tra il Kenya – inizia trasportando lo spettatore nel dinamismo della metropoli di Nairobi – e altre zone dell’Africa orientale sperimentando lo storytelling urbano.

Ma troviamo anche istallazioni non verbali come Terrain di Lily Baldwin, Saschka Unseld e Kumar Arte o progetti di animazione come Goodbye Mister Octopus del francese Amaury Campion o dell’americano Baba Yaga, progetto interattivo di Eric Darnell e Mathias Chelebourg sulla creatura leggendaria della mitologia slava. E, naturalmente, l’universo interattivo del gaming. Tra i titoli – e soprattutto tra gli autori – spicca il nome di Jon Favreau, noto per aver già espanso l’universo fiabesco in live action della Disney, che insieme all’animatore e regista Jake Rowell presenta il progetto videoludico ambientato nel mondo fantasy di Gnomes and Goblin. Unico progetto in concorso della durata di due ore piene che potremmo affiancare a due lavori della sezione Fuori Concorso dell’ambito del gaming: Down the Rabbit Hole del creatore di contenuti videoludici Ryan Bednar che esplora in forma di gioco il mondo di Alice di Lewis Carroll o Blind Spot del regista esordiente Hu Zhangyang, progetto della famiglia de puzzle game che raggiunge la durata di sei ore.

Ma di forme di gioco ne esistono molteplici e, in tal senso, possiamo guardare a Sound Self: a Technodelic del regista e tecnico del suono Robin Arnott. Come suggerisce il titolo quest’opera propone un’esperienza tecnologicamente mediata di ispirazione psichedelica che intreccia meditazione e neuroscienze nel tessuto del ciclo di feedback di un videogioco. Tra i titoli già celebrati, almeno tra gli appassionati di realtà virtuale, c’è il progetto tedesco 1ST Stepfrom Earth to the Moon di Jörg e Maria Courtial. Esperienza immersiva già presentata al Tribeca Film Festival che, grazie a una ricostruzione fotorealistica in 3D sulla base dei dati originali della NASA, porta lo spettatore indietro di mezzo secolo, durante il mitico viaggio dell’Apollo. Tra i nove progetti selezionati, è di notevole interesse anche Gravidade VR di Fabito Rychter e Amir Admoni, opera brasiliano-peruviana che almeno sulla carta sembra sfidare la cosiddetta motion sickness, quella spiacevole sensazione di stordimento da giostra che spesso tradisce il senso di presenza ricercato dal medium.

Il setting è un mondo senza terreno, in totale assenza di un orizzonte stabile e in cui si è proiettati in perpetua caduta. La promessa è quella di sentirsi fluttuare nello spazio come risultato di quel paradosso che già il lavoro di Hito Steierl ci ha raccontato a proposito della percezione del Free Fall: se non c’è nulla verso cui cadere potresti non essere nemmeno consapevole di stare cadendo. Sul piano delle innovazioni che riguardano lo storytelling, orizzonte di sperimentazione su cui la VR continua a lavorare, approda fuori concorso un progetto che è stato acclamato come rivoluzionario all’ultima edizione del Sundance Film Festival – New Frontier. Si tratta di The Book of Distance del regista canadese Randall Okita, un’esplorazione della sua storia familiare di migrazione da Hiroshima al Canada iniziata dal nonno nel 1935. L’autore progetta una messa in scena dal valore retroattivamente testimoniale sulla guerra e sul razzismo di stato.

Anche nell’ambito della Biennale College Cinema – VR, il percorso riservato a cineasti e creativi per lo sviluppo e la realizzazione di progetti di realtà virtuale, è stato selezionato – accanto ad altri tre progetti – un lavoro che sfrutta l’intimità di una storia per rintracciare la relazione tra ambiente e identità soggettiva. Creato dall’artista italiana Iolanda Di Bonaventura, Vajont proietta lo spettatore poco prima di quello che fu il disastro ambientale e umano del 1963.