Forse il jazz sovietico non si è mai distinto per originalità ma le sue peripezie possono fornire degli elementi per capire meglio il tormentato rapporto tra cultura e potere politico nel paese più grande del mondo.
Alla fine della prima guerra mondiale due furono le grandi rivoluzioni: a occidente l’esplosione dell’era del jazz e a oriente la rivoluzione sovietica. Tuttavia negli Usa la diffusione della cultura di massa intrecciata allo sviluppo del mercato capitalistico, con la sua rete di editori di libri e giornali economici, sale da ballo e cinema fu essenzialmente un fenomeno «from below», dal basso. Paradossalmente invece lo sviluppo della cultura sovietica, compreso il prolet’kult, si sviluppò dall’alto, fu una sorta di leniniana «coscienza portata dall’esterno» nel campo delle conoscenze e delle arti. «Avendo affrettato il calendario di Marx prendendo il potere in una parte relativamente arretrata dell’Europa, i bolscevichi furono tentati di forzare il ritmo del cambiamento nella sfera culturale attraverso l’intervento governativo. Il loro obiettivo era quello di creare il nuovo uomo sovietico ancor prima che fosse raggiunto lo stato socialista… una tale rivoluzione culturale “dall’alto” era mille miglia lontana dalle opere di Marx e Engels, ma era più attraente semplicemente perché una simile tattica poteva effettivamente avere successo», ha messo acutamente in luce Frederick Starr nella sua pionieristica opera sul jazz russo Red and Hot: The Fate of Jazz in the Soviet Union.

IL BATTESIMO
Il jazz in Russia sbarcò ufficialmente il primo ottobre 1922 quando a Mosca nella Sala dell’Istituto di arte teatrale si esibì l’orchestra di Valentin Parnach. Parnach, di origine ebrea, era un personaggio bizzarro. Poeta dada, ballerino ma non musicista, era stato per molto tempo in Europa. Per lui il jazz era soprattutto danza, foxtrot e shimmy e la sua band consisteva in pianoforte, banjo, batteria, xilofono e due violini. Il suo successo fu fugace ma ciò non gli impedì di esibirsi con successo davanti ai delegati del IV e del V Congresso dell’Internazionale comunista. La penetrazione della musica nera in Urss fu favorita dalla svolta impressa dalla dirigenza sovietica della Nuova politica economica (Nep) che promuovendo forme limitate di economia di mercato favorì assieme alla crescita di una borghesia commerciale anche lo sviluppo di locali ricreativi e la vita notturna nelle grandi città. Tra le quali non poteva mancare Odessa, realtà cosmopolita e portuale, la quale sarà anche successivamente centro di diffusione della cultura underground in Urss, dai samizdat al rock. La storia di come la città ucraina divenne una piccola New Orleans è stata romanzata nel film My iz dzaza di Karen Šachanazarov.
L’ascesa del jazz fu accompagnata da una rivoluzione dei comportamenti nella gioventù delle metropoli. Al libero amore proclamato da Aleksandra Kollontaj si accompagnò il consumo smodato di alcol e di droghe, un’epopea raccontata nel bestseller dell’epoca Luna s pravoy storony di Sergej Malaškin.
La diffusione del jazz fu frenata però dall’isolamento internazionale in cui l’Urss era sprofondata negli anni Venti. Per cercare di colmare questo vuoto nel 1926 Anatolij Lunacarskij, ministro dell’istruzione sovietico, mandò in missione negli Usa il musicista Leopol’d Teplickij che tornò in patria qualche mese dopo con tonnellate di vinili e strumenti musicali introvabili in Urss, a cominciare da una manciata di sassofoni. Teplickij fondò anche una propria jazz band che in una leggendaria session alla fabbrica Putilov, l’acciaieria culla della rivoluzione d’Ottobre, presentò pezzi di George Gershwin e Irving Berlin.

UN MARTELLO IDIOTA
Con la vittoria di Stalin nei confronti delle opposizioni interne al partito l’economia venne completamente statalizzata e crebbe il sospetto per qualsiasi idea anticonformista.
Ad aprire il fuoco al volgere degli anni Trenta contro la «musica borghese» che diffondeva un «nuovo oppio dei popoli» l’Associazione dei musicisti proletari ma soprattutto il vate della letteratura sovietica Maksim Gorkij che dedicò al jazz un lungo strale curiosamente intitolato Il jazz, musica dei grassi. L’autore de La madre recepiva il jazz come «un martello idiota», «il grugnito di un maiale», «un caos offensivo di suoni frenetici… suonato da orchestre di pazzi…». Nell’universo stralunato di Gorkij il jazz confortava «il mondo delle persone grasse, dei predatori, informati on-the-air da un nuovo foxtrot eseguito da un’orchestra nera. Al suo ritmo, in tutte le magnifiche taverne dei paesi “acculturati”, i grassi, muovendo cinicamente i fianchi, si sporcano…».
In realtà l’approccio al jazz del potere sovietico da lì in avanti seguì gli «zig-zag opportunistici» di cui Trotsky aveva accusato Stalin in politica: se il jazz era così popolare e coinvolgente bisognava usarlo ai fini del regime smussandolo però della sua carica ribellistica e sensuale mentre la crescita di uno strato burocratico privilegiato favoriva la creazione di locali dove la dirigenza comunista potesse divertirsi. Il corrispondente del New York Times in un articolo del 1933 annotò: «Ognuno dei grandi hotel di Mosca ha la sua banda jazz e la sua pista da ballo, presumibilmente per il piacere di stranieri e turisti. Ma anche molti russi ci vanno, specialmente la notte del “sabato rosso”».
Una stella di quella stagione fu Vera Dneprova, una bionda vistosa, cantante con formazione classica che divenne celebre esibendosi al ristorante Metropol prima di finire nel gulag per una relazione con un diplomatico statunitense. Stalin stesso nella primavera del 1941 volle ascoltare in un teatro a Soci, privatamente, una performance della band di Eddie Rosner.
La storia di Eddie Rosner è paradigmatica delle disavventure del jazz in Urss. Nato a Berlino da genitori ebrei polacchi, divenne presto uno dei massimi trombettisti europei, uno dei pochi ad aver suonato al Cotton Club con Louis Armstrong. Quando i nazisti giunsero al potere nel 1933 Eddie si trasferì in Polonia e poi allo scoppio del conflitto si rifugiò in Urss. Le sue tournée entrarono nella leggenda facendo conoscere per la prima volta ai russi, il miglior jazz dell’epoca. Purtroppo nel 1947 – dopo aver tentato di fuggire dall’Urss – Rosner fu condannato a dieci anni di gulag presso la Kolyma. A Rosner tuttavia, anche dietro il filo spinato fu data la possibilità di esibirsi. In molti campi esistevano jazz club dove i musicisti-internati si esibivano per il divertimento di guardie e funzionari della Nkvd. Quando con la destalinizzazione fu liberato tornò a suonare ma solo nel 1971 gli fu data la possibilità di lasciare l’Urss e trasferirsi a Berlino ovest. La sua tragedia è stata narrata nel documentario di Pierre-Henry Salfati Le jazzman du goulag.

I MODAIOLI
Per la ripresa della musica nera in Urss si dovranno attendere gli anni Cinquanta con la comparsa degli stiliagi (i «modaoioli»). Abiti vistosi, danze scatenate, irriverenza furono le cifre della prima sottocultura completamente made in Urss. «I primi stiliagi erano l’immagine inversa della società stalinista… I padri indossavano pantaloni larghi, così i figli se li facevano tagliare stretti; i padri denunciavano il malvagio Occidente, i figli lo abbracciavano», ha sottolineato Starr. L’emergente movimento bop forniva ai giovani sovietici un linguaggio autentico e la musica di Charlie Parker e Dizzy Gillespie richiedeva la partecipazione attiva dell’ascoltatore. A dare ulteriore impulso ci pensò la guerra fredda, quando il dipartimento di stato si accorse che Voice of America attirava più ascoltatori quando proponeva musica che quando discettava delle malefatte del comunismo. Nel 1955 Music Usa fece il suo debutto gracchiando all’una di notte di Mosca con Willis Conover al microfono e divenne l’ambasciatore del jazz americano nel mondo socialista. Musicisti come il sassofonista Boris Ludmer e il trombonista Saša Kofman furono folgorati da quelle trasmissioni e passarono armi e bagagli dalla musica classica a quella jazz.
La band più importante di quella fase fu la Vasmyorka, composta interamente da improvvisatori jazzisti. Il suo leader, il bassista Igor Berukshtis, si vestiva alla stiliaga e si vantava di non possedere abiti di fabbricazione sovietica. La Vasmyorka si rifiutava di lavorare con l’agenzia di varietà statale di Mosca e operava nell’incerto e sotterraneo mondo degli impresari privati.
L’esplosione del rock non ebbe invece effetti, o ne ebbe di negativi, sul mondo del jazz rosso. La volontà definitivamente appetibile all’establishment del Pcus (Yuri Andropov capo del Kgb e poi segretario del partito aveva una gran collezione di dischi jazz) e le pericolose implicazioni freak del rock impedì a buona parte dei musicisti jazz di cercare le vie della fusion. L’unica eccezione di rilievo fu Alexey Kozlov, il quale abbandonato il free jazz virò decisamente verso il rock fino a produrre nel 1978 una opera ispirata a Jesus Christ Superstar. Ma si era già quasi nell’epoca perestrojka che aprirà una nuova fase del jazz in tutti i paesi dell’Est.
La grande sorpresa del jazz sovietico anni Settanta fu Vagif Mustafa-Zadeh che portò alla ribalta il jazz-mugham, una sintesi di jazz e musica azera. Al momento della prematura scomparsa nel 1980, Mustafa-Zadeh stava iniziando ad attirare l’attenzione del pubblico europeo. La figlia Aziza porterà poi alla consacrazione il jazz-mugham nel 1995 con l’album Dance of Fire suonato assieme ad artisti del calibro Al Di Meola, Bill Evans e Stanley Clarke.

FUORI I DISCHI

Aa. Vv. Anthology of Soviet Jazz. Vol. 1 (Melodiya, 2008)
Aa. Vv. Jazz 67: The IV Moscow Festival of Jazz Ensembles (Melodiya, 1967)
Nikolai Levinovsky & Allegro Jazz Band Sphinx (Melodiya, 1986 /Mobile Fidelity Sound Lab, 1986)
Igor Bril & The All-Star Soviet Jazz Band Live at the Village Gate (Mobile Fidelity Sound Lab, 1989)
Alexey Kozlov & Arsenal 13 Selected Works (ArtBeat Music, 2012)
Igor Butman Nostalgie (Soyuz Records, 1997/Butman Music, 2009)
Kondakov, Butman, Gomez, White Blues for 4 (Soyuz Records, 1996/Butman Music, 2011)
Alex Rostotsky Pictures at an Exhibition, or Promenade with Mussorgsky (One Records, 2008)
LRK Trio If You Have a Dream (Losen Records, 2017)
Sasha Mashin Outsidethebox (Rainy Days Records, 2018)
Kruglo/Sooäär Quartet Tchaikovsky (ArtBeat Music, 2020)