Mentre Obama parlava alla nazione, nello Stretto di Hormuz si consumava l’ennesimo screzio tra Stati uniti e Iran. L’episodio si è concluso con un nulla di fatto, ma resta indicativo delle permanenti tensioni che stritolano il Medio Oriente. A pochi giorni dalla fine delle sanzioni contro Teheran, lascito dell’accordo sul nucleare, la Repubblica Islamica ricorda alle potenze occidentali che si accingono al tavolo del negoziato siriano che quella striscia di mare è iraniana e che Teheran è partner essenziale per la pace diplomatica.

Un episodio dal sapore di guerra fredda: martedì notte la marina iraniana ha intercettato e fermato due navi statunitensi vicino all’isola di Farsi nel Golfo Persico. Le due imbarcazioni militari erano entrate in acque iraniane poco prima. Dieci marinai sono stati prelevati e detenuti dalle Guardie Rivoluzionarie, che li hanno interrogati in merito allo sconfinamento. Secondo un funzionario della difesa Usa, le imbarcazioni si trovavano nella zona per fare rifornimento, sulla via dal Kuwait al Bahrain.

Una volta verificato – dicono le autorità iraniane – che si era trattato di un atto involontario, i marinai sono stati rilasciati. Prima del rilascio Teheran avrebbe chiesto a Washington di scusarsi ufficialmente, per poi chiudere il caso definendolo un «incidente»: «Le prove mostrano che sono entrati involontariamente in acque iraniane per un errore del sistema di navigazione», ha detto il protavoce delle Guardie Rivoluzionarie.

Ieri pomeriggio, scortati dagli iraniani, i dieci sono tornati a bordo delle proprie imbarcazioni, secondo quanto dichiarato dalla marina di Washington. Che, come Teheran, affossa l’episodio e smorza la tensione: «Non ci sono indicazioni che i marinai siano stati maltrattati durante la breve detenzione», si legge in un comunicato della marina, mentre il segretario di Stato Kerry ringraziava le autorità iraniane «per la loro cooperazione nel risolvere velocemente la questione».

Per la Casa Bianca il caso è chiuso. È necessario stemperare fonti di tensione a 12 giorni dal negoziato siriano in cui l’Iran gioca un ruolo centrale. Ma soprattutto Obama (che nel discorso sullo stato dell’Unione ha celebrato l’accordo sul nucleare) non intende macchiare uno dei principali risultati archiviati dalla sua amministrazione, che sul collo ha il fiato dei repubblicani che continuano a minacciare di cancellarlo una volta alla presidenza.

Stesso dicasi per la Repubblica Islamica che si è limitata a compiere un atto simbolico, mentre il mondo sta per sospendere definitivamente le sanzioni economiche. La fine dell’embargo permetterà una rifioritura dell’economia iraniana che aspetta lo scongelamento di beni finanziari per un valore stimato che va dai 56 ai 100 miliardi di dollari, oltre agli affari che compagnie pubbliche e private potranno ora stipulare con quelle europee e statunitensi. Un ammontare di denaro con cui finanziare progetti infrastrutturali e dare così una decisa spinta all’occupazione.