Tante, troppe le falsità sentite e subite sul rapporto tra immigrazione e criminalità. Sembrava che gli stranieri fossero tutti delinquenti e galeotti. Invece scopriamo ben altre verità nel 14esimo rapporto di Antigone sulle carceri.

Scopriamo che sono state raccontate fandonie non basate su dati reali. Negli ultimi quindici anni al triplicare degli stranieri residenti in Italia abbiamo assistito alla riduzione di tre volte del loro tasso di detenzione. Negli ultimi dieci anni, mentre gli stranieri liberi sono raddoppiati nei numeri, gli stranieri detenuti sono addirittura diminuiti di circa 2 mila unità. Gli stranieri sono inoltre dentro per reati meno gravi rispetto agli italiani.

Ci sono comunità penitenziarie, come quella romena, in progressivo calo di presenze nonostante in passato c’era chi sollecitasse contro i romeni addirittura leggi ad hoc. Sembrava che essere romeni fosse di per sé una circostanza aggravante. Ci sono comunità come quella filippina con un tasso di detenzione inferiore a quella italiana. La figura dello straniero criminale è dunque un falso.

Il rapporto di Antigone è il frutto di analisi di dati, osservazione empirica (2 mila visite in carcere negli ultimi vent’anni) e proposte. Abbiamo constatato come i detenuti siano cresciuti fino a superare la soglia delle 58 mila unità, come la crescita nei numeri sia disordinata e determini condizioni oggettive di invivibilità in alcune carceri (si pensi a Bergamo o a Como) rispetto ad altre, come ancora troppe siano le persone in custodia cautelare (circa il 34% del totale), e troppo poche le persone che fruiscono di lavoro all’esterno, semilibertà e permessi premio, come la magistratura di sorveglianza sia troppo rigida in alcune regioni (ad esempio il Lazio) così limitando le possibilità di reinserimento sociale di detenuti, come solo il 29% dei detenuti presenti nel 2017 non aveva mai avuto un’altra esperienza di carcerazione, come una vita in carcere trascorsa nell’ozio in cella alimenti violenza e aggressività, come sia necessario assumere almeno cento giovani direttori visto che gli ultimi sono stati assunti più di vent’anni fa.

E come più assicuriamo diritti religiosi meno ci sarà rischio di radicalizzazione (secondo il Dap, nel 2017 sono oltre 500 i detenuti in osservazione per radicalizzazione, contro i 365 del 2016, con un aumento del 72%).

Abbiamo raccontato di buone prassi di sistema come i poli universitari, le riviste e le redazioni di giornali gestite da detenuti, il teatro ma abbiamo raccontato anche le violenze, le morti, i suicidi (undici dall’inizio del 2018, quasi mille dal 2000 ad oggi, un numero che fa impressione), i processi dove Antigone è costretta a stare in giudizio o a costituirsi parte civile.

Non tutte le carceri sono uguali. In alcune carceri si sta peggio, in alcune meglio. Ha giustamente detto Mauro Palma, in occasione della presentazione del Rapporto, che non esiste l’inferno ma che non esiste neanche il paradiso. E’ compito però delle istituzioni standardizzare il più possibile verso l’alto la qualità della vita detentiva.

Quest’anno la presentazione del Rapporto di Antigone è arrivata in un momento di particolare rilevanza. È nelle mani del Parlamento e di tutte le forze politiche la legge che dovrebbe riformare, a 43 anni di distanza, l’ordinamento penitenziario.

Basta molto poco, ossia incardinarla nella discussione della Commissione speciale che dovrebbe esaminare a Montecitorio i provvedimenti a cavallo fra le due legislature, affinché il decreto legislativo faccia l’ultimo passo formale verso la definitiva approvazione. Finalmente avremmo più tutele per la salute, più possibilità di accesso alle misure alternative, più opportunità di vita degna in carcere.

* presidente di Antigone