La nomina di Vladimir Luxuria alla direzione del festival torinese Lgbtqi Lovers è l’ennesima conferma di uno strabismo che affligge non da poco tempo e in modo «bipartisan» chi governa la politica culturale italiana le cui logiche appaiono sempre più nebulose.
Non abbiamo nulla contro Luxuria ma un conto è fare politica e essere onnipresente nei talk show televisivi, «Grande fratello», «Isola dei famosi», o sulle copertine dei rotocalchi, un altro è dirigere un festival ruolo per il quale come per altri si presuppone ci vogliano gusto, competenze professionali ed esperienza maturata negli anni. Purtroppo però in Italia spesso non funziona così.

Nel comunicato diffuso dal Museo del cinema di Torino il presidente del Museo, Sergio Toffetti, si dice molto «soddisfatto» di lavorare con Luxuria la cui presenza «consentirà sicuramente al festival di potenziare la creatività della proposta e la visibilità dei programmi». Ciò che conta, quindi, è il fattore mediatico del direttore e non la sua preparazione?
Per decidere la nuova direzione del Lovers il Museo del cinema aveva indetto un bando, con una commissione incaricata di valutare i vari progetti e, naturalmente, come ovunque nel mondo, il curriculum dei candidati. Il nuovo direttore avrebbe dovuto essere annunciato dalla direttrice uscente, la regista torinese Irene Dionisio, la serata finale del festival, il 28 aprile scorso, ma così non è stato e il Museo ha deciso di prendersi ancora un po’ di tempo per le valutazioni.

Nella short list finale c’erano tre nomi, Fabio Bo, critico e storico del cinema, Angelo Acerbi, produttore e programmer entrambi a lungo in passato collaboratori del festival, e Pier Maria Bocchi, critico, studioso, che attualmente fa parte del comitato di selezione del Torino Film Festival, tutti perfettamente aderenti a quella richiesta di un «comprovato percorso professionale» espressa nel bando. Proprio Bocchi in una lunga dichiarazione affidata ai social fa sapere che né lui né gli altri due, Bo e Acerbi, sono mai stati convocati dal Museo che nel frattempo consolidava i suoi contatti con Luxuria. In pratica nessuno dei finalisti ha mai potuto discutere il progetto di festival che aveva presentato. Ben strano.

Luxuria subentra, si diceva, a Irene Dionisio a cui si deve Lovers, il nuovo nome di ciò che era nato 34 anni fa – ne sono stati fondatori Giovanni Minerba, oggi presidente, e Ottavio Mai – come Da Sodoma a Hollywood diventando poi un più generico Festival Lgbtq, le parole però sono importanti e il passaggio rientra sempre in quelle «sviste» (?) di politica culturale di cui sopra. Nell’Italia dei decreti Pillon, del bullismo in rete, omofobo e non solo, quello spazio «eccentrico» – e non per le paillettes e le parrucche en travesti – che era stato grazie al lavoro costante di crescita e di dialogo, anche polemico col proprio pubblico – John Waters a cui la prossima edizione del Festival di Locarno dedica la retrospettiva ne è stato solo uno degli ispiratori e invitati – viene reso un contenitore ibrido (una specie di «vorrei essere il Tff ma non posso») volto a accattivarsi un non meglio specifico pubblico. E il progetto? La sua forza, la sua scommessa politica? Svaniti. O quantomeno messi in un angolo.

Nei mesi scorsi sono stati rinnovati nel mondo i direttori di molti festival e manifestazioni – la Quinzaine des Realisateurs di Cannes (Paolo Moretti), Cinéma du Reel di Parigi (Catherine Bizern), la Viennale (Eva Sangiorgi) tutti con professionisti di alto livello che hanno avuto risultati ottimi sia col pubblico che con i media a partire, appunto, dalla programmazione e dalla qualità dei film. Forse anche Torino farebbe bene a ripartire dal cinema, visto che di quello si tratta.