Pietro Zanna, torinese, 36 anni, giornalista precario, un po’ di pancia e pochi capelli, una Lancia Fulvia rossa parcheggiata sottoterra e un padre ex burocrate di partito. È lui il protagonista del romanzo-inchiesta Sistema Torino – Sistema Italia di Maurizio Pagliassotti, appena uscito per Castelvecchi Rx (euro 16,50). Zanna, che nel suo cinismo obliquo non porta le stigmate dell’eroe, è l’espediente narrativo per raccontare vizi e debolezze del mondo dei media e così, pian piano, del potere economico e politico di Torino, o meglio del sistema, che nella città della Fiat, filtrato dal galateo sabaudo, diventa specchio delle storture dell’Italia contemporanea.
Pagliassotti è giornalista, ha lavorato per «Liberazione» e «Diario», con questo libro torna al tema del potere, dopo l’esordio Chi comanda Torino (2012), saggio sulla città più indebitata d’Italia e più impoverita del Nord. Ora cambia registro, abbandona l’inchiesta giornalistica e sceglie una chiave narrativa per raccontare i sentimenti e le miserie di quelli che la città la plasmano o di quelli che si accontentano anche di un minuscolo riconoscimento dei «principi». Perché un romanzo? Perché, talvolta, «la fiction migliore è di gran lunga più veritiera di qualsiasi tipo di giornalismo», come diceva Hunter Stockton Thompson, inventore del gonzo journalism, che mescolava fiction e realtà. In questo caso, l’invenzione letteraria rappresenta una frazione residuale. Ma il pregio del secondo lavoro di Pagliassotti è di fornire una terza dimensione, quella emotiva, alla «marmellata» di potere – come la battezzò profeticamente nel 1993 l’ex sindaco comunista Diego Novelli – che da 20 anni governa Torino. Da sinistra a destra: l’ex corrente migliorista del Pci (l’ascesa di Chiamparino), le cooperative di costruttori edili, le fondazioni bancarie (Compagnia San Paolo in testa, primo azionista di Intesa Sanpaolo) che hanno in mano la cultura, e gli ex manager Fiat sparpagliati in alcune aziende multiservizi. Nel prologo, uno dei protagonisti del sistema ammette anonimamente: «Il potere si genera dove risiedono le strutture, non per aria». Quindi, bisogna entrarci. E starci.
Accanto a donne, uomini e luoghi reali ne compaiono altri di fantasia. Accanto ai potenti, agli Agnelli ed Elkann, a Oscar Farinetti, a Vito Gamberale e a Giovanni Bazoli, a Fassino, Chiamparino e Cota, si muove la figura di Pietro Zanna e tutto quel sottobosco «locale e patrio, sfruttato dal potere perché desideroso di esserlo». Dal direttore Cadregon, che licenzia Pietro, proponendogli di ritornare in campo ma con uno «sponsor» (l’importante è che l’editore non ci metta i soldi, va bene anche un crowdfunding che fa di «sinistra»), alla collega Giulia, cantrice senza stile dei fasti locali, siano le Olimpiadi o i nuovi villaggi residenziali, che si rivelano speculazioni edilizie generatrici di nuove sacche di degrado. Mentre il centro risplende e la Fiat a Mirafiori preferisce le operazioni finanziarie internazionali, le periferie si gonfiano di rassegnazione o di rabbia. Spuntano in piazza Castello in una mattina di dicembre, che farà di Torino la momentanea capitale dei forconi. Calato il sipario sulla rivolta, rimane il Night Buster, messo a disposizione dalla Gtt (Gruppo torinese trasporti) per i giovani che vogliono andare in centro a divertirsi, dimenticando la crisi.
Zanna, scaricato dal precedente giornale e imbarcato in una nuova quanto improbabile avventura multimediale, vaga per la città. Villaggio Olimpico, stadio Filadelfia, Eataly, via Po, Murazzi, piazza Vittorio sono i punti cardinali del suo viaggio. Si dirige in piazza Carlina. Qui, la Cina è davvero vicina: «Capitalizzare simboli del passato glorioso e briglia sciolta al capitale». Ecco la storia di casa Gramsci. Sull’angolo sinistro della piazza, in un alloggio di un palazzo ottocentesco visse, tra il 1914 e il 1922, il fondatore del Partito comunista e di Ordine Nuovo. Oggi, sta per diventare un hotel di lusso con piscina panoramica sul tetto e si chiamerà Hotel Gramsci. Gli inquilini delle case popolari sono stati sloggiati. «Pezzi di città lasciati crollare, siano essi luoghi fisici o società di servizi, vengono poi venduti a buon prezzo a soggetti privati che li rendono profittevoli».