Che cosa sia l’improvvisazione è cosa difficile a dirsi nel momento in cui le nostre esperienze, sia nella dimensione individuale che in quella collettiva, sono sempre più drammaticamente esposte a meccanismi di riproduzione automatica dell’esistente, ad abitudini e automatismi che agiscono come pattern prefabbricati e programmati. Dove interviene, in un simile contesto, l’elemento della novità e della sorpresa? Che ruolo gioca il non-programmabile nelle nostre vite?

QUESTE E ALTRE DOMANDE prova a porsi il volume curato da Igor Pelgreffi e intitolato, appunto, Improvvisazione (Mimesis, pp. 276, euro 22), tentando di affrontare tali questioni da diverse angolature e da molteplici prospettive. Oltre a indagarne il ruolo nel mondo delle arti e delle pratiche estetiche, il libro (terzo fascicolo della rivista «Kaiak») si sofferma sulla natura variegata e multiforme della pratica improvvisativa, nel tentativo di definirne lo statuto filosofico. Se l’improvvisazione è possibile solo «all’interno di pratiche già consolidate», ciò implica che essa si trova sempre in un rapporto conflittuale e dialettico «con la passività e gli automatismi del vivere».

PIÙ PRECISAMENTE significa che l’improvvisazione è una tecnica, la quale dev’essere intesa «come sedimentazione e ripetizione più o meno inconsapevolmente automatica di una pratica o di un esercizio, anche intellettuale», che non può e non deve affidarsi al paradigma ingenuo dell’invenzione, della creazione ex-nihilo, ma che ha sempre a che vedere con «l’organizzazione di un sapere», o meglio con la sua ri-organizzazione. L’esperienza artistica, che con il suo carattere performativo pone i corpi e i soggetti in una condizione di precario equilibrio fra la padronanza di una tecnica e la sua possibilità di alterazione, funge allora da esempio e da modello per un ripensamento di un’idea di attualità «che non esaurisca tutte le potenzialità dell’individuo», e che faccia di questo «un abbozzo aperto» a nuove possibilità di improvvisare sé stesso e gli altri, anche sul piano della politica.

OGGI ASSISTIAMO al proliferare di scuole di management in cui i nuovi quadri dirigenti vengono addestrati, attraverso tecniche di improvvisazione decisionale e di finanza creativa, alla gestione delle crisi del capitale, alimentando l’immagine di una scienza politica come di un’arte riservata a tecnici specialisti, in cui ciò che più conta è prendere la scelta giusta, evitare l’errore. E dove «l’improvvisazione coincide con la più volgare speculazione», con il passivo adattamento al modello storico del profitto.

E SE LE IDEE di trasformazioni politiche radicali nel mondo occidentale «non hanno potere di mobilitazione» bisognerà allora avere il coraggio di restituire alla politica la sua vera capacità improvvisativa: individuare, come sostiene Zizek, il «punto dell’impossibile», vale a dire «una serie di richieste modeste che appaiono possibili, sebbene siano di fatto impossibili», e che sappiano scatenare richieste ulteriori, mostrando l’incompletezza e l’inadeguatezza di quelle scelte presentate come giuste e responsabili. Osare l’impossibile, osare perdere.