L’Ocse spariglia le carte nell’ordinario razzismo che domina il mercato del lavoro italiano. Dati alla mano, l’organismo internazionale che ha sede a Parigi ieri ha dimostrato nel rapporto annuale sulle migrazioni che gli immigrati non pesano sul welfare, ma anzi – nel lavoro dipendente, in quello autonomo, nell’impresa, contribuiscono a tenere in piedi un sistema ferito a morte con lo 0,9% del Pil- A beneficiarne è soprattutto un sistema pensionistico, come anche il fisco al quale queste persone versano le tasse sui loro redditi. Questo non accade naturalmente solo in Italia. In Svezia, ad esempio, la situazione è ancora più evidente. In questo paese, i migranti contribuiscono al Pil con un valore prossimo al 2%. Il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria si è raccomandato di rafforzare i programmi di integrazione e formazione per gli stranieri, anche in un momento di crisi: «Il lavoro degli immigrati – ha detto – sarà fondamentale per garantire la ripresa dell’economia una volta che sarà terminata la crisi». L’Ocse si è occupata anche della mobilità all’estero degli italiani e sostiene che quelli che sono andati all’estero nel 2011 sono aumentati a 85 mila. La metà preferita è la Germania dove gli italiani sono aumentati del 35%. Ma ci restano solo un anno. Lo sostiene «Die Welt»: il 60% degli italiani emigrati per lavoro in Germania, gran parte dei quali probabilmente cervelli in fuga, riesce a resistere solo un anno nel Paese di Goethe. Secondo i dati Ocse solo una piccola minoranza di stranieri riesce a resistere alle dure condizioni del mercato del lavoro in Germania. Forse anche il mito della «fuga dei cervelli» sta per essere sfatato.