Lo Stato Sociale: «Il lavoro deve essere soprattutto dignità»
Sanremo 68 Il quintetto bolognese ha spopolato nelle giornate del festival complice una messa in scena vincente. «Vogliamo fare politica anche con la musica, perché se il testo di una canzone non fa scattare qualcosa allora non serve proprio a niente»
Sanremo 68 Il quintetto bolognese ha spopolato nelle giornate del festival complice una messa in scena vincente. «Vogliamo fare politica anche con la musica, perché se il testo di una canzone non fa scattare qualcosa allora non serve proprio a niente»
I nomi, anzi i nomignoli, Albi, Bebo, Carota, Checco e Lodo sembrano personaggi mancati di una sit-com bolognese che spopolò quasi quindici anni fa. Si chiamava Via Zanardi 33, la sigla era di Cesare Cremonini e voleva essere la risposta «damsina» a Friends e non è un caso che proprio in quella strada si trovi la sede di Radio Città Fujiko, emittente vicina all’area della sinistra libertaria, da dove alcuni membri del collettivo Lo Stato Sociale sono «partiti». In questa triangolazione temporale e di rimandi, la band, che sembra tracciare coordinate musicali che partono dagli Skiantos, passano per i CCCP e sfiorano i Lùnapop, ha spopolato in queste giornate sanremesi, complice una «messa in scena» musicale vincente che ha unito le acrobazie della sempiterna ballerina Paddy Jones alla solidarietà per gli operai Fiat licenziati a Pomigliano d’Arco.
Ma il pezzo Una vita in vacanza è molto più di un cazzeggio militante, come ci è stato raccontato dai ragazzi: «Viviamo in un mondo fatto di imposizioni. Il lavoro, prima di tutto, dovrebbe essere passione e mai obbligo o costrizione ma soprattutto dignità. Per questo abbiamo deciso di presentarci sul palco con i nomi dei cinque operai della Fiat di Pomigliano d’Arco licenziati nel 2014. Sentiamo il bisogno di raccontarci, come band, anche tramite questo. Gli operai licenziati sono cinque, come noi, e portandoli a Sanremo volevamo rappresentare il degrado del lavoro contemporaneo». Gli operai hanno ringraziato con lo striscione «Il nostro unico voto va a Lo Stato Sociale» e sono arrivati a Sanremo negli stessi attimi in cui la protesta dei lavoratori TIM irrompeva in sala stampa (alla base la disdetta del contratto aziendale, il piano strategico 2018-20 che prevede 7.500 tagli di posti di lavoro e 2.000 assunzioni fatte pagare ai lavoratori attraverso la Solidarietà Espansiva, con un taglio di salario di oltre 1.000 euro l’anno) insieme ai lavoratori e alle lavoratrici della Embraco Whirpool di Riva presso Chieri (stabilimento che verrà chiuso, nonostante sia considerato tra i migliori al mondo per produttività, per aprire all’estero).
Tornando al brano, Lo Stato Sociale ha utilizzato un metodo leggero ma efficace: «Per parlare di qualcosa che per noi è essenza stessa del nostro collettivo. Il lavoro è un mito da sfatare, come l’idea del successo e del riscatto individuale, ma anche l’auto-rappresentazione su Internet e, perché no, il veganesimo, l’idea che si possano fare scelte non politiche, che non esistano né destra né sinistra, l’austerity, ecc ecc ma ce ne sono ancora molti altri. Non a caso l’album dello scorso anno si intitolava Amore, lavoro e altri miti da sfatare».
UN BRANO politico in senso ampio, contro la tendenza sempre più diffusa a identificare completamente l’individuo con la sua professione ma: «Non fa riferimento a nessun partito. Parole come ’Rottamatore’, ’Candidato’, ’Niente nuovo che avanza’ vogliono essere soprattutto una protesta contro la ricerca ossessiva di qualcos’altro».
Quasi un’orazione civile in forma di cazzeggio insomma: «La canzone, scritta nell’estate del 2017 al ritorno dalla Puglia, rappresenta il nostro modo per cercare di parlare in maniera divertente e divertita dell’antagonismo che c’è fra il lavoro e il mondo del non lavoro e soprattutto perché il lavoro è vissuto in questa maniera in una società come la nostra che fa di tutto per renderlo sgradevole. Per noi cultura e politica sono vicini da sempre e vogliamo ’fare politica’ anche con la musica perché se il testo di una canzone non fa scattare qualcosa allora non serve a niente. Far succedere le cose è politica, come lo è scegliere dove fare la spesa o decidere di non fare una canzone politica». La band, in un mondo costruito intorno al mito dell’individualismo e dell’uomo solo al comando, rivendica il suo essere «collettivo» anche attraverso le scelte produttive e artistiche: «Tutto passa attraverso di noi. Siamo un gruppo unico che lavora su tutti gli aspetti. Pubblichiamo con un’etichetta indipendente (l’album Primati, uscito venerdì, contiene altri due inediti, tra cui il duetto Facile con Luca Carboni e i quattordici brani più significativi della loro carriera, ndr) anche se la parola ’indie’ ormai non ha più il significato di un tempo ma è diventata una playlist di Spotify».
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