Stavolta a vestire gli abiti dei prigionieri di Guantanamo, macabra ironia dello Stato Islamico, sono due ostaggi giapponesi. Nel mirino di al-Baghdadi finisce anche Tokyo, che solo pochi giorni fa per bocca del primo ministro Shinzo Abe ha promesso di inviare 2,5 miliardi di dollari in aiuti ai paesi colpiti dall’Isis, di cui 200 milioni diretti ad aiuti umanitari alle popolazioni costrette alla fuga.

È di nuovo un video a recapitare la minaccia: Kenji Goto e Haruna Yukawa sono in ginocchio, in mezzo a loro un miliziano in nero con il volto coperto. Il messaggio è diretto: «Sebbene siate a oltre 8.500 km dallo Stato Islamico, avete volontariamente preso parte a questa crociata», dice il miliziano. Che conclude con un ultimatum di 72 ore per avere salva la vita dei due prigionieri: in cambio al-Baghdadi pretende 200 milioni di dollari, la stessa somma preventivata da Abe a favore della campagna anti-islamista.

Per ora mancano conferme ufficiali sull’identità dei due ostaggi: il portavoce del governo giapponese ha fatto sapere che il paese sta compiendo verifiche e che nel caso farà del suo meglio per garantirne il rilascio. Si tratterebbe di Haruna Yukawa, presunto capo esecutivo di una compagnia militare privata, ma dipinto come “un’anima persa” dopo la morte della moglie e per questo arruolatosi con i ribelli siriani; e Kenji Goto, freelance e fondatore dell’agenzia video Independent Press. A novembre la moglie avrebbe ricevuto una mail da parte di un presunto membro dell’Isis che chiedeva un riscatto di 8,5 milioni di dollari.

«La nostra posizione non cambierà affatto. La comunità internazionale non si arrenderà al terrorismo», ha risposto il premier da Gerusalemme, dove si trova in visita, tappa parte di un più ampio tour mediorientale. Sabato scorso Tokyo aveva messo sul tavolo la sua nuova strategia nella regione, volta a mettere al sicuro i suoi consistenti interessi energetici: 2,5 miliardi di dollari in assistenza non militare da distribuire ai paesi coinvolti nella lotta all’Isis e a quelli che ospitano rifugiati iracheni e siriani. Di questi 362 milioni saranno versati nelle casse del presidente egiziano al-Sisi per migliorare porti e aeroporti.

L’obiettivo dichiarato del Giappone – che con Abe promuove la cosiddetta politica del “pacifismo pro-attivo” – è «la prosperità e la stabilità della regione», due fattori essenziali per garantirsi l’arrivo costante del greggio. Tokyo risponde alle proprie esigenze energetiche per lo più attingendo ai pozzi mediorientali e l’occupazione islamista di parte di quelli iracheni è una seria minaccia allo sviluppo economico del paese.

Ma se tanto clamore è suscitato dalle minacce a ostaggi occidentali, la sofferenza delle popolazioni locali sotto lo stivale brutale dell’Isis non cessa mai. Nell’ultimo periodo, a seguito dell’uccisione di una serie di leader dello Stato Islamico, pare che il califfo voglia dimostrare la forza immutata delle sue milizie. E la sua: ieri il premier iracheno al-Abadi ha fatto sapere che al-Baghdadi è rimasto ferito in un raid aereo nella città di al-Qa’im al confine con la Siria. Sopravvissuto, è di nuovo fuggito in territorio siriano.

A parlare per lui sono le violenze compiute negli ultimi giorni contro donne, omosessuali e adolescenti. Puniti per una partita: il 12 gennaio a Mosul 13 ragazzi sono stati trucidati dalla “polizia” dell’Isis per aver guardato in tv la Coppa d’Asia, il match tra la nazionale del loro paese, l’Iraq, e la Giordania. Ai genitori è stato vietato il recupero dei corpi.

Dallo scorso giugno, quando la città è caduta in poche ore in mano islamista, Mosul ha assistito impotente alla fuga di migliaia di persone, per lo più sciiti e cristiani, all’applicazione folle e personale della Shari’a, alla creazione di tribunali e forze dell’ordine islamiste. A Mosul si viene uccisi per una partita di pallone perché per al-Baghdadi lo sport è come il demonio, una creatura occidentale per traviare i più giovani. A governare è la paura, vecchio strumento di potere da sempre in voga per tenere soggiogata una popolazione. Lo sappiamo in Occidente, dove la paura e lo spettro della sicurezza vengono agitati da secoli, lo sanno gli iracheni che subiscono le violenze jihadiste.

Sempre più frequenti le esecuzioni pubbliche a Mosul. Pochi giorni fa a morire sono stati due uomini, accusati di omosessualità e per questo gettati da una torre. Foto e video sono stati pubblicati online, a fare da monito. Lo stesso giorno una donna è stata lapidata dietro l’accusa di adulterio, due uomini fucilati per una rapina. La scorsa settimana 17 giovani sono stati crocifissi come vendetta per l’uccisione di alcuni miliziani siriani e algerini, membri dell’Isis.

A Brisbane, alla Coppa d’Asia, l’Iraq ha battuto la Giordania per uno a zero.