«Per garantire la coesione sociale il divieto di licenziamento deve rimanere fino al 31 dicembre»: questa è sempre stata la posizione di Leu durante la trattativa sul dl Agosto, ribadita ieri dal capogruppo alla Camera Federico Fornaro.

Come valutate l’accordo?
Il meccanismo flessibile messo in campo consente di avvicinarsi il più possibile a fine dicembre. Il governo si è mosso seguendo la strada della protezione dei soggetti più fragili, allargando gli ammortizzatori sociali anche agli autonomi e alle partite Iva. È arrivato il momento di ragionare su una riforma degli ammortizzatori che consenta una protezione universalistica. Durante il lockdown abbiamo stimolato il governo ad allargare le misure a chi non aveva lavoro, abbiamo spinto per il Reddito di emergenza non solo perché non si deve lasciare indietro nessuno ma anche perché, a differenza di quanto sostiene la cultura mercatista, queste misure spingono l’economia stimolando rapidamente i consumi interni.

Reddito di cittadinanza e Reddito di emergenza prevedono una serie di paletti che ne hanno frenato l’utilizzo.
Con partite Iva e autonomi effettivamente si è ecceduto in assenza di paletti, allocando così risorse in modo inefficace. Mentre, per evitare l’accusa di «assistenzialismo», su Rdc e Rem sono stati inseriti paletti che si potevano evitare. Una lezione che va tenuta presente per il futuro. Ci vuole una riforma complessiva che si muova su un doppio binario: da un lato un sostegno universale, dall’altro una differente forma di cassa integrazione che tuteli anche gli atipici. La divisione netta tra lavoratore dipendente e autonomo ha perso intensità con il moltiplicarsi dell’utilizzo strumentale di lavoratori a contratto, a progetto, partite Iva. Bisogna ricucire il gap tra i più tutelati e i meno tutelati, quasi sempre i più giovani, con un welfare adeguato.

Non c’è stata la stessa severità per tutti. Ci sono state imprese che hanno chiesto la cassa integrazione pur senza perdite da Covid.
L’Inps deve approfondire caso per caso. Se fosse tutto confermato, allora ci troveremmo di fronte a uno spettacolo molto brutto con aziende che considerano lo stato come una mucca da mungere. Mi ha colpito il silenzio di commentatori e associazioni di categoria, sia rispetto a eventuali singole responsabilità che alla più generale responsabilità sociale delle imprese.

Iv ha dato un sì all’accordo condizionato alla presenza di misure come lo slittamento delle tasse di novembre.
Rispetto le loro posizioni ma faccio fatica a capire la difesa dei licenziamenti per rilanciare l’economia. Dovremmo invece utilizzare la strada di un nuovo patto per valorizzare le risorse umane invece di fare leva sul soggetto più debole. Al fondo del Jobs act c’è l’idea renziana di un mondo del lavoro simmetrico, con impresa e dipendente sullo stesso piano e lo stato che ne agevola l’incontro. Invece si tratta di un rapporto strutturalmente asimmetrico, dove le capacità contrattuali non sono affatto le stesse e lo stato deve correggere gli squilibri.

Confindustria preme per avere mano libera dal governo.
La posizione di Confindustria è sbagliata e ingiusta. La scorciatoia di tagliare i diritti non funziona neppure dal punto di vista economico. Il sistema che ha tenuto meglio, quello tedesco, funziona sull’equilibrio tra stato, imprese e lavoratori. Il sistema italiano di lasciare mano libera alle aziende ha tenuto la produttività bassa anche quando gli altri crescevano. Lo stato italiano deve tornare ad avere un ruolo innovatore, programmare la politica industriale. Se negli anni Sessanta l’Italia si fosse comportata con l’energia come ha fatto con la banda larga, avremmo ancora paesi senza luce. Minori diseguaglianze e più giustizia sociale sono concetti che la sinistra dovrebbe frequentare di più.