La protezione dei testimoni di giustizia e dei collaboratori è «ritenuto, ormai da tempo, uno strumento indispensabile nella conoscenza e repressione della criminalità organizzata». Inizia con queste parole la relazione parlamentare sul secondo semestre del 2013 su queste persone che giocano un ruolo chiave nella lotta alla criminalità, appena presentata al ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Dei loro problemi si parla poco, eppure queste 1.224 persone, di cui 80 testimoni e 1.144 collaboratori (in totale 4.617 compresi i loro familiari), contribuiscono volontariamente al contrasto alle mafie. Pagando però un prezzo altissimo. Sono infatti costretti a un repentino e improvviso cambiamento radicale, lasciandosi alle spalle la propria terra, il loro lavoro e tenore di vita, i propri conoscenti, per iniziare altrove una vita da «latitanti» con i propri familiari. «Le denunce vanno fatte per cambiare le cose, per i nostri figli, ma la politica non può e non deve abbandonarci, deve fare qualcosa per non mandare un messaggio distorto», denuncia Ignazio Cutrò, presidente dell’Associazione testimoni di giustizia, che da anni si batte per cambiare l’attuale normativa ritenuta «obsoleta». I problemi sono tanti. La Commissione Centrale, l’organo che per legge deve esaminare e determinare in merito alle proposte di adozione delle misure di protezione, «promuove il reinserimento sociale e lavorativo dei testimoni e dei collaboratori di giustizia, ma è evidente che gli obiettivi necessitano della pronta disponibilità di adeguate risorse economiche», ammette la relazione parlamentare. I fondi disponibili, vengono infatti «impegnati per le misure ordinarie di assistenza (contributi, canoni di affitto per appartamenti, strutture ricettive, assistenza legale, sanitaria, psicologica)». Nel semestre in questione sono serviti 45,6 milioni di euro, rispetto ai 30,3 di quello precedente. Sembrano tanti e invece non bastano. Anche perché lo Stato è un cattivo pagatore. Il documento presentato al ministro Alfano ricorda che la disponibilità di congrui stanziamenti, protrattasi fin dal 2009 e per tutto il 2013, «non ha consentito di assolvere con regolarità agli impegni di spesa assunti con soggetti terzi».

L’assenza di fondi ha di conseguenza provocato «la mancata regolare erogazione dei canoni dovuti ai locatari di immobili e il mancato pagamento dei soggiorni presso strutture ricettive» che ora sempre più spesso si rifiutano di affittare allo Stato. Lo stesso vale per gli avvocati e la logistica. Invariato anche il problema della cosiddetta «mimetizzazione»: in caso di trasferimento in località protetta bisogna mantenere riservate generalità e domicilio degli interessati, mediante la consegna dei documenti di copertura e, qualora ritenuto necessario, l’attribuzione di nuove generalità. Nel semestre in esame sono state rilasciate 61 carte di identità, 293 tessere sanitarie e 17 patenti di guida. «Sono come documenti falsi, non servono a niente. Dopo averli esibiti, alcuni sono stati portati in caserma, col risultato che li hanno cambiati di posto. In Italia mi risulta che soltanto due persone, Giuseppe Galino e Piera Aiello, hanno ottenuto il cambio definitivo di generalità», denuncia ancora il presidente dell’Associazione testimoni di giustizia. La stessa relazione parlamentare ammette che «l’utilizzo dei documenti di copertura crea problemi per l’accesso al lavoro, quali, ad esempio, l’impossibilità di aprire un conto corrente per l’accredito dei trattamenti economici e la comunicazione del domicilio per le visite mediche fiscali e pertanto si tende ad autorizzare i soggetti tutelati a lavorare con le identità reali». Cosa che avviene anche per l’iscrizione a scuola dei figli o per le visite mediche. Un vero e proprio disastro.