«Che si fa se non risponde nessuno?», chiede Charlie Brown. «Rifai il numero più forte», risponde Lucy van Pelt. Non serve a niente, ovviamente, ma di fronte allo stallo sulle riforme costituzionali il Pd e Leu non possono fare altro che insistere. Provano a richiamare, con più forza, Conte. L’avevano già fatto il 23 novembre, undici giorni fa, quando l’impossibilità di proseguire con il tavolo sulle riforme istituzionali – modifiche della Costituzione e soprattutto della legge elettorale – era apparsa evidente. Bisogna tornare al punto di partenza – dissero allora – al vertice tra Conte e i segretari dei quattro partiti (M5S, Pd, Iv e Leu) che un mese fa aveva lanciato i due «tavoli» (delle riforme e del programma) come via d’uscita dalle secche in cui sono finiti i giallo-rossi. Ma non si fa un passo in avanti, perché Italia viva blocca anche gli accordi già firmati e nessuno più si fida delle reali intenzioni del presidente del Consiglio. Che, in serata, evocato risponde da Marte: «All’esito del lavoro i risultati saranno portati a me e avrò un ulteriore confronto con i leader». I risultati, signor presidente, sono zero.

O più correttamente meno uno, perché da quando è entrato in vigore (5 novembre) il taglio dei parlamentari – secondo gli annunci avrebbe dovuto rilanciare alla grande le riforme – si è bloccato tutto. Anche la modifica della base elettorale per il senato, una riforma piccola piccola sulla quale nessuno ha mai alzato un sopracciglio. Anche l’estensione ai 18enni del voto per il senato, arrivata alla seconda deliberazione alla camera e bloccata dal presidente Fico all’ultimo minuto per non seppellirla sotto le divisioni della maggioranza. Rinvio che per il regolamento dovrebbe essere «a breve» e invece dura da quasi due mesi, pericoloso precedente.
Renzi chiede una riforma complessiva, sfiducia costruttiva e bicameralismo differenziato. Il Pd non dice di no, aveva annunciato un’iniziativa analoga e pezzi della grande riforma bocciata nel 2016 tornano a galla. Ma anche i dem come Leu e 5S vuole prima il rispetto degli accordi sulla legge elettorale. È quello il nodo vero perché soglia di sbarramento e preferenze tengono lontano qualsiasi accordo. Intanto il 5 gennaio si completa l’iter di ridefinizione dei collegi che saranno validi fino all’inizio del semestre bianco (agosto). In teoria (molto in teoria) si potrebbe tornare al voto con il Rosatellum, maggioritario con sbarramento al 3%. In pratica anche sulle riforme, come su tutto il resto, la coalizione chiede a Conte di decidere. «Essere pazienti è stato inutile», scrivono i capigruppo del Pd. Ma prima delle riforme c’è il Mes.