L’Europa melanconica si guarda allo specchio che le rimanda un’immagine di stallo, di impotenza. Jean-Claude Juncker, presidente di una Commissione ancora più indebolita dalla Brexit, dopo un anno di tensioni tra est e ovest sui rifugiati e tra nord e sud sulla crisi economica, nel discorso sullo stato dell’Unione di fronte all’Europarlamento ha cercato di opporre una blanda «agenda positiva» alla disaffezione crescente dei cittadini e alle derive nazionaliste sfruttate dalle forze politiche anti-europee. A differenza di un anno fa, ha evitato con cura di mettere sotto accusa gli stati recalcitranti (sull’accoglienza dei rifugiati) e si è limitato a ricordare che non è possibile addebitare tutti i mali a Bruxelles e a sottolineare che molte decisioni, poi rimesse in causa dalle varie capitali, sono votate al Consiglio.

La conclusione del discorso rivela lo stato di depressione della costruzione europea: «Non rendiamoci colpevoli di errori che metterebbero fine al sogno europeo», ha affermato, unica frase detta con una certa enfasi e una vera sincerità, sperando in una scossa per uscire dalla «crisi esistenziale» che sta attraversando la Ue, in fase di stallo per un anno, con le elezioni francesi in primavera e quelle tedesche tra un anno, dall’esito incerto. «Oggi si ha la tendenza a dimenticare cosa vuol dire essere europeo», ha affermato Juncker, ricordando con nostalgia gli anni dell’accoglienza dei paesi dell’est, Polonia in testa, e le bandiere con le stelle su sfondo blu che sventolavano in Portogallo e Spagna, dopo la fine delle dittature. Ma Juncker sembra ormai appartenere al passato. La Commissione non difende neppure più le proprie iniziative, come i più che contestati negoziati con gli Usa per il Ttip (Juncker ha sottolineato l’importanza degli accordi commerciali, ma riferendosi al Ceta con il Canada). La Ue è in ritardo persino nella ratifica degli accordi di Parigi sul clima dopo la Cop21 dello scorso dicembre: Cina e Usa li hanno già accolti, la Ue non ancora perché bisogna aspettare le ratifiche dei vari stati a livello nazionale.

Cosa offre Juncker per rilanciare l’idea di Europa? L’ex premier e ministro delle finanze del Lussemburgo, paese che ha orchestrato i vantaggi fiscali delle multinazionali a scapito dei vicini, oggi per riconquistare i cuori dei cittadini promette la lotta all’evasione (dopo la decisione su Apple in Irlanda). Ai giovani propone di unirsi a un «corpo europeo di solidarietà», che conterà 100mila persone dal 2020, per intervenire sulle crisi, dai rifugiati a casi come il «terremoto in Italia». A Londra, mette fretta per avviare la Brexit, per «chiarire» e togliere dai piedi il problema, che sarà discusso al Consiglio di Bratislava a 27 (senza la Gran Bretagna) venerdì. Alle grandi potenze chiede: dov’è l’Europa in Siria? Mrs.Pesc Federica Mogherini dovrebbe essere al tavolo dei negoziati.

Economia

Il gruppo S&D si è rallegrato perché Juncker non ha pronunciato la parola «austerità». Ma il presidente della Commissione non ha neppure rilanciato la flessibilità del Fiscal Compact, perché la Germania non ne vuole sapere. La «solidarietà è citata 16 volte nel Trattato», ha ricordato Juncker, e questo vale per l’economia come per i rifugiati. La disoccupazione, in particolare dei giovani, colpisce l’Europa, ma in modo molto più drammatico i paesi del sud. La Commissione propone di «raddoppiare la durata e la capacità finanziaria» del piano di rilancio del 2014, da 314 miliardi l’effetto-leva dovrebbe passare a 500 entro il 2020, fino a 630 nel 2022. E si rallegra dell’effetto del programma «garanzia giovani» che da tre anni ha convolto 9 milioni di persone. «Continuano a parlare di flessibilità e di occupazione, ma come possono crederci i cittadini?» si è chiesta Gabriele Zimmer della sinistra Gue. La Commissione accoglie la domanda della Francia di intervenire contro il dumping sociale dei lavoratori distaccati. Contro altri dumping, come quello cinese nel caso dell’acciaio, Bruxelles vuole imitare gli Usa e alza la voce. Sulle tasse, insiste che devono essere pagate dalla multinazionali «dove vengono fatti gli utili». Per l’euro, resta l’«ambizione» di un approfondimento. Ci saranno novità a giorni sul roaming, e c’è la promessa della banda larga per la connessione Internet per tutti e della 5G entro il 2025.

 

15desk muro ungheria

 

Rifugiati

Juncker non ha più parlato delle «quote» di ricollocamento dei profughi, politica che sembra ormai naufragata. Ha abbassato le braccia: «Non si può imporre», sperando che la presidenza del Consiglio semestrale, in mano alla Slovacchia, «cerchi di vincere le reticenze e colmare le differenze tra chi, come me, ritiene l’accoglienza necessaria e chi la rifiuta». Juncker non ha neppure risposto all’attesa di Italia e Grecia sulla riforma eventuale di Dublino (ritorno al paese di prima entrata). Bacchetta la Grecia sul trattamento dei profughi minorenni e promette alla Bulgaria 200 guardie alle frontiere esterne. C’è un programma di aiuti per lo sviluppo in Africa «per far fronte alle cause dei flussi migratori», inizialmente di 30 miliardi ma che potrebbero salire «se gli stati contribuiranno».

Sicurezza

È la priorità delle priorità. L’Europa, che «protegge», deve potersi difendere. Lo farà con più Frontex, con il nuovo corpo di guardiacoste, con il «rafforzamento di Europol», con il Pnr, cioè la schedatura di tutti quelli che entrano nello spazio europeo, nome, data, luogo, ragione del viaggio. Ci sarà un Fondo europeo per la difesa, per rilanciare ricerca e innovazione come cooperazione rafforzata, in prospettiva c’è all’orizzonte un «quartiere generale unico» con risorse militari comuni, ma sempre «in piena complementarità con la Nato». La Ue, dice Juncker, «non può più permettersi di dipendere dalla sola capacità militare dei paesi membri». Con la Brexit e l’uscita dell’altro paese nucleare, la Francia spera ora di rilanciare la partecipazione della Germania.