Governo e commissioni di esperti lavorano alla riforma fiscale del 2022 e il fisco è certamente uno dei terreni di gioco per ridurre le disuguaglianze e ambire a servizi pubblici di qualità.

Su questa questione, inoltre, si decide chi pagherà il debito pubblico che, per effetto del lockdown, ha toccato il 160 per cento del Pil. Le scelte da compiere, dunque, non sono affatto neutre.

Il battage di Salvini sul taglio delle tasse è cominciato da tempo e c’è chi, rasentando il ridicolo, vorrebbe utilizzare allo scopo i soldi del Recovery fund. Ma il fatto è che l’abbassamento delle aliquote Irpef, senza ampliare la base imponibile, produce un ridimensionamento di gettito e di conseguenza del livello delle prestazioni sociali e dei servizi, penalizzando le fasce sociali più deboli.

Il tema è proprio la base imponibile, a partire da quella impropriamente esclusa dalla progressività dell’imposta personale.

Parliamo delle rendite fondiarie, dei redditi da fabbricati tenuti a disposizione, delle rendite finanziarie, dei redditi da capitale delle persone fisiche, dei redditi da lavoro autonomo con basso fatturato, dei canoni di locazione, e altro ancora. Redditi e rendite sottoposti a imposizione proporzionale o del tutto esenti.

I regimi speciali per alcune categorie (del lavoro autonomo) e per alcuni comparti (l’immobiliare e l’attività finanziaria) non hanno in generale ottenuto lo scopo, per cui erano stati pensati, dell’emersione di base imponibile, anzi l’hanno erosa in modo consistente minando, nel contempo, la progressività dell’imposta personale.

Per un allargamento significativo della base imponibile e, insieme, conquistare una maggiore progressività è necessario che quote (da definire) di tutti i redditi – da lavoro, da capitale, da rendita immobiliare e finanziaria – entrino a far parte dell’Irpef.

Quando, però, da esponenti del governo si avanzano proposte contraddittorie, tipo quella di estendere la cedolare secca a tutti i canoni di locazione (anche a quelli a contratto libero) oppure si alzano lamenti al cielo per scongiurare l’Imu sulla prima casa, appena ventilata dalla commissione europea (e ricordiamo che anche i contribuenti con reddito alto non la pagano), significa che manca una visione d’insieme sulla riforma del sistema tributario e si è propensi a cedere alle più diverse pressioni.

E il sistema delle detrazioni fiscali, essendo correlato al reddito, favorisce chi è più bravo a eludere e a evadere. Mantenere l’aliquota marginale entro un certo livello permette di godere di agevolazioni, sussidi e bonus.

[do action=”citazione”]Si spiega così, ad esempio, il fatto che ben 2 milioni di immobili presenti in catasto non compaiono poi nella dichiarazione dei redditi.[/do]

E’ decisivo avviare un’azione di disboscamento delle detrazioni e dei bonus, come si è iniziato a fare per finanziare la legge sull’assegno unico per i figli. Ma di spese fiscali (tax expenditures) ne sono state accertate circa 500 (per un valore di 60 miliardi) e, quindi, il lavoro da fare è enorme.

Ultima, ma non per importanza, l’evasione fiscale concentrata tra Il grosso tra imprenditori, liberi professionisti e categorie di lavoro autonomo.

Il Covid ha messo in ginocchio l’economia ma non ha toccato gli evasori, premiati da provvedimenti governativi erga omnes, presi cioè per aiutare imprese e lavoratori autonomi. Il pagamento delle cartelle esattoriali è slittato ancora, anche per le imprese che hanno avuto un incremento di fatturato.

Non si spiega, in questo quadro, la ratio che ha portato il governo a bloccare, in questo periodo, anche l’attività di controllo e repressione dell’evasione.

Nell’allegato alla NaDef (nota di aggiornamento del documento di economia e finanza), elaborato da una commissione diretta da Enrico Giovannini, sono confermati tutti i dati, conosciuti da tempo, riguardanti l’economia sommersa e l’evasione fiscale.

Il tax gap ammonta a 110 miliardi. L’Iva evasa è di 33 miliardi, il 67 per cento del gettito complessivo.

L’Irpef non pagata è di 26 miliardi.

Sull’Imu si registrano minori entrate per circa 5 miliardi, e così via.

Davanti a cifre tanto eloquenti e gravi la domanda è: perché non si utilizza come si deve la banca dati dell’anagrafe tributaria? Perché l’Agenzia delle entrate, pur avendo i dati a disposizione, non è capace di scovare nemmeno i grandi evasori?

La ripresa dell’economia e la riqualificazione del welfare dipendono anche da questo.