Il 2 % del Pil per gli armamenti, lo 0,2% per la azioni di cooperazione internazionale allo sviluppo e le emergenze umanitarie. Nello squilibrio drammatico tra queste due cifre è riassunto tutto il passaggio, o meglio il piano inclinato, che da una visione di welfare a livello nazionale, europeo e mondiale, sembra scivolare sempre più velocemente e senza soluzione di continuità verso il warfare globale.

La pandemia di Covid 19, peraltro domata in parte ma non certo vinta, soprattutto per le disparità ancora vigenti a livello internazionale tra chi ha accesso ai vaccini e chi ne è tagliato fuori, sembra non aver lasciato traccia nella comprensione delle priorità umane.

La guerra in Ucraina con il suo corteo di morte e distruzione ha rappresentato un “booster” molto più potente e sostenuto di quello della terza dose di vaccino, andando nel giro di pochi giorni a riavviare una corsa al riarmo come non si vedeva da decenni.
Nello specifico della situazione italiana, che abbiamo riassunto con le cifre in apertura, il divario si presenta come particolarmente grave, data anche la collocazione geopolitica del nostro Paese, crocevia tra mondo mediterraneo e nord Europa, ma anche tra est ed ovest.

Si è detto molto spesso che la nostra nazione è l’anello debole della catena Atlantica, e che dunque questa debolezza va rafforzata, riforgiata nel fuoco della guerra con un aumento mai visto delle spese militari. Ma quello che non si dice, e che mostra una colpevole miopia geopolitica, è l’importanza, per il posizionamento internazionale del nostro Paese, proprio di quelle azioni di cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale che spesso sono l’unico strumento efficace per mantenere stabile e relativamente indipendente l’orizzonte degli interessi nazionali.

La proiezione dell’Italia, in molti scenari strategici, infatti, non può prescindere da queste azioni, specie nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo, nei quali si trovano ancora le materie prime necessarie alle industrie nazionali e le risorse energetiche.

Stiamo volutamente mettendo l’accento su questi aspetti perché non ci si taciti con la retorica delle “anime belle”, di un pacifismo “né, né”, o utopie che si scontrano con le dure leggi della realpolitik. Certo per le tantissime realtà del Terzo Settore impegnate nella solidarietà nazione ed internazionale, nei programmi umanitari, nell’accoglienza ai rifugiati e via enumerando, i valori portanti sono quelli contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; ma anche a volerne prescindere basterebbe un richiamo alle ultime votazioni in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni unite per capire di cosa si parla anche in termini puramente materiali. In questa sede, infatti, trenta Paesi africani su cinquantaquattro si sono per ben due volte astenuti dal condannare la guerra nei confronti dell’Ucraina da parte della Russia.

Sono Paesi strategici per le risorse, nei quali la leva di una nazione come l’Italia non può che essere quella della cooperazione. Molti altri esempi su vasta scala potrebbero essere portati, ma il dato sostanziale rimane quello della incapacità o, peggio, della non volontà politica di elevare il budget del nostro Paese a quello 0,7%, con lo zero davanti dunque, che da oramai una cinquantina d’anni diciamo di voler raggiungere in base ai trattati internazionali che abbiamo sottoscritto in materia di aiuti.

E qui, in conclusione ma non per importanza, si apre un altro importante capitolo: quello della coerenza tra le politiche. Perché si decide su due piedi, certo spinti dai venti di guerra, per l’accrescimento delle spese militari e non si trovano mai i fondi per quelle che derivano da impegni internazionali di atro genere?

Questa politica dei due pesi e due misure non solo nega la legittimità dei fora multilaterali nei quali gli impegni vengono sottoscritti, ma mostra al mondo in via di sviluppo una faccia meschina dell’Occidente, geloso delle proprie prerogative di libertà eguaglianza, democrazia, economia di consumo, pronta a difendere i propri valori quando pensa siano messi in discussione, ma sordo all’applicazione ed estensione degli stessi a quanti ne avrebbero altrettanto diritto.

Ecco allora che almeno un bilanciamento tra spese militari e cooperazione internazionale darebbe un segnale di coerenza apprezzabile, non solo alle “anime belle” che in questi giorni terribili si stanno spendendo a sostegno del popolo ucraino, delle sue donne dei bambini, del dialogo ancora possibile e doveroso per la pace, ma anche agli occhi di chi guarda alla nostra Nazione ed all’Occidente in generale da Sud, dove la visione è diversa ed una mano tesa può ristabilire il giusto equilibrio e costruire una pace duratura perché radicata nella giustizia.

* Portavoce del CINI ( Coordinamento Italiano NGO Internazionali)