Si dice che tutta questa attenzione della Cina per il calcio arrivi direttamente dal vertice della piramide politica del paese: sono noti tanto l’interesse quanto la passione per il football da parte del leader supremo, Xi Jinping, il «presidente di tutto».

Già nel 2011, ancora prima di accedere al primo posto della nomenklatura cinese, Xi espresse tre desideri «calcistici»: il primo riguardava la possibilità da parte della nazionale di qualificarsi per una fase finale del campionato del mondo; il secondo l’opportunità di ospitare una coppa del mondo in Cina; il terzo di vincerla.

Durante i suoi viaggi diplomatici questa sua passione lo ha portato a simpatici «fuori scena», enfatizzati dalla stampa nazionale: negli Stati uniti con Beckham, in Irlanda calciando un pallone, in Inghilterra con un selfie con il Kun Aguero del Manchester City, squadra per la quale Xi Jinping farebbe il tifo.

Quando si parla di calcio in Cina, dunque, si ricorda sempre l’importanza del diktat proveniente dall’alto: dare vita a una grande nazionale e a un grande campionato di calcio all’interno del «sogno cinese» di Xi, «nucleo» del partito e del paese.

UN GIOCO DI FANTASIA Proviamo allora a fare un piccolo gioco di fantasia: immaginiamoci quel 2012 durante il quale si giocarono i destini della leadership cinese; un anno durante il quale l’ascesa di Xi, già stabilita dalla dirigenza uscente, si vide minacciata dallo spettro di un «principino» in auge, Bo Xilai.

Proviamo a immaginare cosa sarebbe successo se Xi Jinping anziché uscirne vittorioso, ne fosse uscito sconfitto. Al suo posto, probabilmente, ci sarebbe ora proprio Bo Xilai. Il figlio di un padre della patria, nato nel 1949, l’anno di fondazione della Repubblica popolare.

Un funzionario prima vice ministro poi a capo della municipalità di Chongqing, megalopoli di 30 milioni di abitanti, una delle grandi città cinesi fuori dalla giurisdizione locale e collegata direttamente al centro, a Pechino.

LO SQUADRONE DI BO Bo Xilai ancora prima di Chongqing fu anche sindaco a Dalian, cittadina nel nord est cinese. Per Bo Xilai si trattò di una tappa fondamentale nella sua ascesa. Il figlio di Bo Yibo – un personaggio considerato a lungo una sorta di divinità in Cina, vicinissimo a Mao nella Lunga marcia e poi caduto in disgrazia durante la rivoluzione culturale e poi ancora al vertice del partito – quando era sindaco della città cinese di Dalian manifestò un interesse particolare nei confronti proprio del calcio.

I RECORD Bo Xilai arrivò nel 1993 e rimase lì fino al 2000: nel 1993 la squadra calcistica locale venne riorganizzata come una moderna compagine professionista. La città offrì a Wanda, un gruppo di real estate di Dalian che sarebbe diventato poi uno dei più grandi conglomerati cinesi, tagli di tasse e benefici fiscali.

Wanda finì per sponsorizzare la squadra di calcio che già nel 1994 vinse il suo primo titolo nazionale. Bo Xilai si prodigò per trovare sponsor e risorse, confermando il suo tocco magico: il Dalian Shide inanellò vittorie continue nel campionato nazionale. Ancora oggi è la squadra più titolata di Cina.

Tutta la città divenne il centro della nazione per quanto riguardava il calcio. I calciatori della squadra locale divennero idoli, ospiti di trasmissioni, osannati dalla popolazione di Dalian. «Il calcio non è solo sport e divertimento, disse Bo Xilai nel corso di un’occasione pubblica, ma è anche anima».

Bo Xilai non si limitò a lanciare la squadra locale; aveva intuito che per sviluppare un «movimento» calcistico capace di rimanere nel tempo e lasciare una propria traccia, una volontà consueta da parte di Bo Xilai, ossessionato dal farsi notare da Pechino e arrivare al cuore del potere politico cinese, servivano strutture e mentalità. Sotto la sua guida nacquero delle zone appositamente dedicate al calcio, dove i bambini avrebbero potuto – fin da piccoli – giocare a calcio.

Come in altri progetti «popolari» che finiranno per causare un deficit gigantesco nel bilancio cittadino, Bo Xilai drenò migliaia di yuan su progetti dedicati al calcio: fondi, strutture, insegnanti. Un problema per il «movimento» calcistico cinese è senza dubbio quello degli spazi: in megalopoli asfissiate dal traffico, di luoghi dove giocare, come le piazzette che abbiamo conosciute noi, non ce ne sono.

Le strutture regalate a Dalian da Bo Xilai, unitamente al tentativo di trasformare la città più inquinata della Cina in un esempio di metropoli «green», posero un primo concetto chiave nello sviluppo calcistico cinese: ai soldi si doveva accompagnare un rinnovamento culturale.

DALL’INCUBO AL SOGNO Abbandoniamo questo «incubo» di Xi Jinping: le cose sono andate in maniera diversa. Bo Xilai è caduto a causa dello scandalo più grave che abbia colpito la politica cinese fin dalla fondazione della Repubblica popolare, lasciando ampio spazio a Xi Jinping. E il neo presidente cinese, tra le altre cose, ha portato avanti proprio quanto Bo Xilai aveva iniziato a fare nel 1993 a Dalian. Non lo ammetterà mai, probabilmente, ma le analogie tra i due sono davvero tante.

Innanzitutto Xi Jinping ha impresso al movimento un’accelerazione proprio grazie al connubio di investimenti mirati a creare una «cultura» calcistica. Gli obiettivi sono immensi ma chiari: avere 50.000 scuole calcio entro il 2025 rispetto alle 5.000 nel 2015. Il numero di campi di calcio in tutto il paese crescerà a oltre 70.000 entro la fine del 2020.

L’obiettivo è portare almeno 50 milioni di cinesi a giocare a calcio e diventare entro il 2030 la nazione più forte in Asia, anche calcisticamente parlando. Sarà previsto un campo di calcio ogni 10mila persone. A quel punto le statistiche dovrebbero consentire di scovare almeno 11 calciatori presentabili in nazionale, pensano i maligni. Ma non c’è da scherzare, perché nel 2016 è stato presentato un progetto dal Consiglio di stato, il «piano per lo sviluppo sul lungo termine del calcio in Cina» nel quale vengono dettagliati gli input di Xi Jinping.

OBIETTIVI E RIFORME Insieme agli obiettivi di breve, medio e lungo periodo, ci sono anche le necessarie riforme e regole da stabilire per la Federazione nazionale e per le squadre di calcio (di cui c’è stato una sorta di update al termine della recente campagna acquisti per limitare investimenti eccessivi e la presenza degli stranieri nelle squadre di club).

Più di tutto il resto, però, per la Cina è necessario sviluppare il «movimento», unitamente a una «professionalizzazione» del settore, che spesso trova ancora molti limiti. Di sicuro l’arrivo di Marcello Lippi, prima al Guangzhou e ora alla guida della nazionale, ha aiutato a concepire l’attività calcistica in modo più contemporaneo, attraverso metodi di allenamento e organizzazione delle squadre più professionali e al passo con i migliori campionati europei.

E i primi risultati si vedono: nelle recenti qualificazioni ai mondiali in Russia del 2018 la Cina ha ottenuto un’importante vittoria contro la Corea del sud, all’interno di un match che probabilmente ha anche consentito alla dirigenza locale di capire l’importanza del football in chiave sociale, vista la recente polemica tra i due paesi legata al sistema anti missilistico americano installato a Seul.