L’aria di bocciatura europea torna a far volare lo spread. Il differenziale tra i nostri Btp e i Bund tedeschi ha chiuso ieri in netto rialzo a 322 punti base, dai 312 della chiusura di venerdì. Anche il rendimento del decennale del Tesoro è in netta crescita al 3,59%.

È l’effetto anche della partenza al ralentì per la quattordicesima edizione del Btp Italia, il primo emesso sotto le insegne del governo gialloverde. Le sottoscrizioni, nel primo giorno di collocamento, si sono fermate a 481,3 milioni di euro. Un record negativo se si esclude l’emissione del giugno 2012, quando il Btp che da ormai sei anni il Tesoro dedica ai piccoli risparmiatori, raccolse all’esordio solo 218 milioni. In tutte le altre dodici edizioni, al debutto le sottoscrizioni non sono mai scese sotto il miliardo di euro, con un picco di 16,8 miliardi nel novembre 2013. Nell’ultima edizione, a metà dello scorso maggio, il primo giorno si era chiuso a quota 2,3 miliardi.
Lo scontro fra il governo e l’Europa e i livelli così alti di spread e rendimenti hanno scoraggiato i piccoli risparmiatori che nelle precedenti tredici edizioni hanno sottoscritto circa la metà dei 140 miliardi di euro raccolti con il Btp Italia, decretandone il successo.

I PRIMI TRE GIORNI dell’attuale emissione saranno riservati agli investitori retail mentre giovedì sarà aperta anche agli istituzionali. Il Btp, di durata quadriennale, è indicizzato all’inflazione e offre una cedola minima dell’1,45%, che potrebbe essere ritoccata all’insù alla chiusura del collocamento. Secondo il Tesoro «fornisce all’investitore una protezione contro l’aumento del livello dei prezzi italiani, con cedole che offrono un tasso reale annuo minimo garantito» e che vengono «pagate semestralmente insieme con la rivalutazione del capitale per l’inflazione del semestre». Non abbastanza, in questo clima di incertezza, per attrarre i risparmiatori.

IERI POI È ARRIVATO anche il grido di dolore dell’Abi. Ieri l’associazione bancaria mette nero su bianco una serie di effetti dal perdurare del differenziale con il Bund: dall’erosione del capitale delle banche, all’aumento dei tassi sui prestiti oltre che a una loro riduzione in quantità. Finendo, in ultima analisi, in minori investimenti, diminuzione del risparmio, aumento del costo del debito, provocando così un impatto negativo sul Pil già in rallentamento.

NON GIOVANO I DATI della Banca d’Italia sugli investimenti dei gestori esteri: a settembre, che pure era iniziato con un recupero dei mercati, le vendite dei non residenti di Btp sono state di 1,5 miliardi. Meno dei 17,8 di agosto ma pur sempre in passivo. Sui mercati prosegue così una visione di sfiducia degli operatori e una forte volatilità come si è visto nei giorni scorsi. Malgrado l’esecutivo abbia più volte dichiarato di non voler uscire dall’euro lo scontro con la Ue sulla manovra di bilancio non si è ricomposto. Il presidente Abi Antonio Patuelli sottolinea come almeno sia un segno di maturazione nel paese e nel dibattito politico (sebbene non sui social e fra la base della maggioranza) «che nessuno ne parli più». «L’uscita dall’euro sarebbe una pazzia e comporterebbe un effetto devastante sul debito pubblico, immaginate i tassi al tempo della lira sul debito, attuale e prospettico». Ma il presidente Abi sottolinea come un alto spread «appesantisca tutta la catena» e possa colpire sia le banche che i conti pubblici. E se non si può parlare di un livello «insostenibile» per le banche – alcuni lo avevano fissato a 400 punti -, certo anche l’attuale di 300 provoca appunto danni e potrebbe portare al credit crunch.

GLI ISTITUTI DI CREDITO comunque rivendicano di aver «fatto i compiti a casa» dimezzando gli Npl (i crediti deteriorati) a 39,8 miliardi di settembre 2018 dal picco del 2015 di 88,8 miliardi. Ma se la Bce e l’euro hanno operato da «ombrello» e «spinta» nella crisi, certo le regole europee sulla gestione delle crisi non hanno aiutato. Gli istituti italiani hanno messo 12 miliardi di euro a fondo perduto, rileva l’Abi, una cifra che avrebbe potuto essere molto inferiore se fossero stati usati i vecchi strumenti come il Fondo tutela depositi. Troppo confuse, lente e macchinose le norme, le procedure e le interpretazioni europee, lamenta l’Abi.