Verrebbe da chiedersi che razza di dirigenti ha lo sport italiano? Dare una risposta significa capire quali sono i motivi di una crisi profonda che non solo non dà risultati ma è la spia di una crisi politica ed economica del sistema sportivo, alla quale contribuiscono dirigenti incapaci di guidare l’Italia dello sport agonistico, da tempo finita nella melma e priva di medaglie. Nel calcio, lo sport nazionale per eccellenza anche di governi e politici, sempre in prima fila quando si tratta di apparire, l’Italia è uscita al primo turno nelle due ultime edizioni dei campionati mondiali, disputatesi in Sudafrica nel 2010 e in Brasile quest’anno. Un’eliminazione ampiamente prevista da un rapporto sullo stato del calcio italiano e sulla forma scadente dei giocatori della nazionale, in mano ai dirigenti della Federcalcio già qualche mese prima che gli azzurri partissero per il Brasile, e che dopo la débâcle ha portato alle dimissioni del presidente della Federcalcio Abete e dell’allenatore Prandelli. Nel 2010 si tentò di imbastire qualche lieve cambiamento fatto passare furbescamente come rinnovamento, sostituendo l’allenatore della nazionale di calcio Marcello Lippi con Cesare Prandelli, che decise di puntare tutto su Mario Balotelli. La crisi del calcio italiano non può essere risolta dai singoli, necessita rivedere l’intero sistema. Durante l’estate abbiamo assistito al balletto dei candidati, espressione di varie scuderie, che si contendevano il ruolo di primi attori, e alla fine il calcio italiano ha scelto Carlo Tavecchio come capo della Figc, uno che parla il linguaggio della Lega di Bossi e di Salvini, tanto che l’Uefa, il massimo organo sportivo del calcio europeo ha aperto un’inchiesta sulla sua famosa frase pronunciata riguardo ai calciatori di colore: «Optì Poba che fino a ieri mangiava banane, arriva da noi e gioca in serie A». L’Uefa ha chiesto all’organo disciplinare europeo la sospensione per due mesi di Tavecchio per le sue frasi razziste, il quale ha già fatto sapere che non si dimetterà da presidente della Figc. Dunque, il massimo dirigente del calcio nostrano è considerato razzista in Europa e benemerito in Italia. In tanti si sono affrettati a spiegare che il presidente della Federcalcio non è bravo a parlare, visto che è abituato a lavorare, tra tutti il patron della Lazio Claudio Lotito e Franco Carraro, costretto a dimettersi da presidente della Federcalcio nel 2006 a seguito dello scandalo Calciopoli e oggi occupa un seggio permanente al Cio, il massimo organo sportivo internazionale. Se il calcio italiano ha scelto un personaggio rozzo, impregnato di cultura razzista e di linguaggio da bar sport, come Carlo Tavecchio, gli altri sport non sono da meno in quanto a dirigenti.
L’atletica vive da anni una crisi profonda, in passato la Federatletica è stata diretta perfino da alti esponenti delle forze armate, come il generale della Guardia di Finanza Gianni Gola, più inclini a dirigere le caserme che a promuovere l’atletica tra i giovani. Ai recenti campionati europei svoltisi a Zurigo questa estate, tra le prime dieci nazioni l’Italia si è classificata al nono posto conquistando appena tre medaglie, precedendo solo la Bielorussia, mentre ai primi tre posti troviamo l’Inghilterra, la Francia e la Germania, dove i dirigenti delle federazioni di atletica hanno saputo avviare politiche più efficaci. Naturalmente non si tratta di un caso sfortunato, nell’edizione precedente di Helsinki 2012, il medagliere ci collocò all’undicesimo posto, un risultato più deludente di quello di Zurigo, che non ha sortito scossoni, se non quello di sostituire qualche allenatore utilizzato come capro espiatorio. L’Italia si classificò al nono posto anche agli europei di atletica che si svolsero nel 2010 a Barcellona. Ai mondiali di atletica tenutisi nel 2013 nella Corea del Sud, gli azzurri si sono piazzati al tredicesimo posto, preceduta dalla Repubblica Ceca e dalla Polonia. Da molti anni, ormai, alla Federatletica nessuno si pone una domanda elementare: perché in Italia i ragazzini non corrono più e in altri paesi europei sì? Le recenti conclusioni della procura di Bolzano sul doping dell’atleta Alex Swazner, trovato positivo alla vigilia delle Olimpiadi di Londra, puntano il dito su alcuni allenatori e dirigenti della Fidal, che sapevano della pratica del doping dall’atleta altoatesino e di dirigenti Coni consenzienti, pur di aumentare il numero di medaglie e il prestigio sul piano internazionale.
Se la pallacanestro italiana, nonostante negli ultimi anni abbia esportato alcuni talenti nell’Nba, il massimo campionato di basket americano, da tempo è fuori dai circuiti europei e internazionali, vacilla anche la granitica pallavolo maschile, che ai recenti mondiali in Polonia è stata eliminata al primo match del secondo turno. Nell’incontro di Coppa Davis, l’Italia si è fatta superare dalla Svizzera cedendo alle racchettate di Federer. Perfino la rossa di Maranello non vince e in casa Agnelli ci sono state baruffe Montezemolo e Marchionne. Gli eredi dell’Avvocato hanno preferito al ciuffo del primo il golfino blu del secondo, che ha annunciato prossime vittorie, compensate dalla chiusura di stabilimenti, licenziamenti e attacchi ai diritti dei lavoratori. Nel panorama dei perdenti fanno eccezione le medaglie del nuoto e della scherma femminili, ma in Italia nessuna donna è presidente di una federazione sportiva.