Tutto il libro in un’immagine, verrebbe da dire guardando la copertina di Trasgressioni. Bataille, Lacan di Silvia Lippi (Orthotes, pp. 236, euro 19). C’è Valentina, il personaggio di Guido Crepax, drappeggiata da uno scialle che lei solleva fino a scoprire un seno. Un ciuffo nero e ribelle spunta tra le gambe nude inquadrate di profilo. Il braccio e la mano allungati mollemente lungo il corpo stringono con forza un grosso revolver.

PIÙ DI UN LIMITE è stato varcato o almeno scosso, in pochi tratti di china. Limite, confine tra il visibile e l’invisibile, tra la sfida e l’abbandono, e così di seguito. È per questo che guardiamo, cioè desideriamo. Guardiamo e desideriamo dove qualcosa fa ostacolo e qualcosa forza quell’ostacolo, non semplicemente oltrepassandolo, ma tenendolo presente e insieme affacciandosi sul suo al di là. Del resto, è sulla linea vertiginosa della soglia che si incontra ciò che sta oltre la soglia. O meglio ancora, è grazie al limite che c’è un al di là del limite, e che quell’al di là del limite si mostra in una luce incantata, facendosi oggetto di desiderio e promessa di una scintilla che non è solo quella del piacere, bensì di quell’al di là del piacere, frenetico, angoscioso, eccessivo, che nasce all’incrocio di molti movimenti contrastanti, stratificati, simultanei.

L’IMMAGINE di Crepax porta al cuore di Trasgressioni e dei due maestri che il libro convoca sulla scena, Georges Bataille e Jacques Lacan. Rispetto ai quali il libro ha il merito di colmare una lacuna storiografica sorprendente e di sollevare un problema teorico decisivo. Che cosa, di Georges Bataille, è passato a Jacques Lacan? Che cosa se ne fa, Lacan, di quel che prende da Bataille? L’opera quasi segreta di Georges Bataille ha innervato il Novecento in ogni direzione, portando una specie di intuizione centrale, guadagnata attraverso il confronto con la filosofia, la psicoanalisi, l’economia, l’antropologia, la storia delle religioni.
L’esperienza umana è divisa tra l’equilibrio e lo squilibrio, tra la ricerca della misura e l’attrazione per l’eccesso, il momento antieconomico, la fiammata in cui tutto quello che era stato pazientemente costruito e accumulato, brucia infine di uno splendore breve e fascinoso.
Anche Lacan pensa il desiderio in questi termini. Anche per lui la trasgressione non è un caso particolare del desiderio, o non è un oggetto particolare del desiderio, ma è la struttura generale di ogni desiderio, è la scena che rende possibile il delinearsi di un oggetto desiderabile e di un godimento possibile di quell’oggetto desiderabile.

OGNI DESIDERIO, in altri termini, fa leva su un confine, gioca con una soglia, si tratti della soglia che divide il corpo velato e il corpo svelato, o di quella che passa tra l’abbandono di una ragazza imbronciata e la determinazione con cui, lontano da lei, la sua mano stringe una pistola che potrebbe sparare da un momento all’altro e far attraversare anche a me una qualche soglia, ad esempio quella che divide chi osserva e immagina di possedere qualcosa nella visione, e chi è inquadrato dal mirino dell’altro ed è sul punto di essere trapassato dal proiettile del suo sguardo.
Tuttavia Lacan accentua, maturando e invecchiando, qualcosa che non è assente in Bataille ma che non è mai davvero al centro della sua attenzione. Il fatto, cioè, che il limite, più che trasgredito verso un al di là che è il limite stesso a proiettare, e dunque a rendere in ultima analisi deludente, il limite va usato, va preso in mano, va rielaborato, va reinventato. Non va assunto alla lettera, come fosse qualcosa di solido, eterno, e neppure va oltraggiato e devastato, come solo le cose solide, eterne, chiamano a fare, ma va fatto danzare, va plasmato per quel tanto o poco che si può, va maneggiato e rimaneggiato fino a ricavarne una piccola differenza, un inedito e magari minuscolo slittamento. Ecco, la necessità di questa reinvenzione, la modestia dello spostamento di cui si tratta, il fatto che l’efficacia dello spostamento sia direttamente proporzionale alla sua piccolezza, sono forse il suggerimento più sottile che il volume di Silvia Lippi ci lascia.