Santo Russo ha una bella faccia e la determinazione di dimenticare quel marchio da figlio di sfigato che gli si è appiccicato addosso quando il padre è caduto in disgrazia con la ’ndrangheta. Calabrese arriva adolescente a Buccinasco, il comune dell’hinterland milanese, oggi considerato uno dei centri più importanti della ’ndrangheta in Lombardia, che in quegli anni Settanta sembra gettare le fondamenta di ciò che sarà in futuro. Altro volume d’affari, naturalmente, quasi artigianale, allora i calabresi di Buccinasco dirigono i traffici da un bar/bisca, e intanto Santo a differenza loro impara a parlare con accento milanese perfetto, sa mimetizzarsi, finisce in galera (ingiustamente), al minorile, ma quando esce è più determinato che mai. E Buccinasco è il posto giusto a per le sue ambizioni .

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È QUESTA carriera che racconta Lo spietato, il nuovo film Renato De Maria, in sala tre giorni – 8-9-10 aprile – poi utilizzando la finestra della nuova legge cinema su Netflix in 190 paesi dal 19 aprile. Protagonista è Riccardo Scamarcio, perfetto per un personaggio che con molte citazioni cinefile – i poliziotteschi di Fernando Di Leo e Umberto Lenzi, le immagini tarantiniane di cui sono ispirazione e maestri, Scorsese e i suoi Bravi ragazzi, il romanticismo criminale del meraviglioso Carlito’s way – incarna due decenni di storia italiana ripercorsa da Milano: quella  anni Settanta (Lizzani insegna) dei banditi e delle calibro 9, dei sequestri e delle rapine, quella «da bere» modernissima degli anni ottanta – laboratorio di design, disco, arte, lusso e intrecci tra mafie e politica, speculazione edilizia (Milano 2) e mercato della droga fino ai primi anni Novanta quando Tangentopoli fa deflagrare l’intero sistema. Cosa avverrà dopo, che potrebbe essere un sequel, almeno a Santo Russo la cui voice over ci svela subito il racconto al passato, sembra non interessare più.

De Maria ha lavorato molto liberamente (sua la sceneggiatura insieme a Valentina Strada e a Federico Gnesini) sul libro di Pietro Colaprico e Luca Fazzo Manager Calibro 9 (Garzanti), «biografia» di Saverio Morabito, calabrese e milanese «pentito», ci ha messo come racconta i suoi ricordi – la madre che cuciva i vestiti delle bambole come la moglie del protagonista – e ha utilizzato l’esperienza accumulata in materia con il doc Italian Ganster.

MA SOPRATTUTTO si è preso una bella libertà cinematografica che gli ha permesso di realizzare un film pieno di energia – lui dice «elettrico» – scanzonato e irriverente anche laddove utilizza figure e codici più riconoscibili. Perché omaggi e citazioni sono semplicemente il bagaglio di quanto si è visto e si ama così mai De Maria si fa prendere dall’ansia di «dimostrare» qualcosa appropriandosi pienamente dell’irruenza di quel cinema a cui guarda, capace di essere politico in modo inaspettato e di spostare un po’ l’obiettivo senza bisogno di sottolinearlo. Tutto è là, nella vita di Santo Russo, nelle sue parole che la ripercorrono con ironia scanzonata davanti al pm nel ’92 – come accadeva appunto ai politici della Prima repubblica travolti dall’inchiesta di Mani pulite.

Sfacciato, amante dei bei vestiti, delle auto rombanti insieme ai due amici, Slim (Alessio Praticò) e «il testina» (Alessandro Tedeschi) gangster e concessionario di auto che mastica sempre chewing gum, Santo si muove come un predatore, pronto a catturare il momento senza rimorsi né rimpianti. Gli piacciono le donne ma sposerà Mariangela – Sara Serraiocco – ragazzina «scorfana» sbocciata come una madonna. Fanno l’amore in camera sua con Caterina Caselli (Cento giorni) al mangidischi, lei è vergine, rimane incinta, lui la sposa e intanto lo arrestano di nuovo.

E MENTRE cambiano i suoi abiti, le sue case e il crimine entra nella «modernità» che per Santo è anche la seducente ragazza francese colta, ricca, artista di Brera dai cui impara subito a dire «ça va sans dire» (Marie-Ange Casta) cambia anche l’Italia. Negli interni dei protagonisti, nelle periferia invase dal cemento, nell’economia gaudente balenano questa trasformazioni quasi che il mondo dello «spietato» ne fosse lo specchio. O è forse il contrario? Santo sicuramente ci riderebbe su.