Come per il rogo della ThyssenKrupp, i morti per eternit a Casale Monferrato, quelli uccisi dall’amianto di Stato a Monfalcone, gli operai dell’Isochimica di Avellino, quelli della Moby Prince, così come per le vittime della motonave Elisabetta Montanari a Ravenna, anche per i famigliari delle vittime della strage di Viareggio il rapporto tra mobilitazione popolare, conflitto e attività processuale, è stato molto forte.

A sei mesi dalla tragedia, il 29 dicembre 2009 l’associazione dei parenti delle vittime insieme a molti cittadini bloccarono due treni per attirare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, un intercity diretto a Livorno e un Eurostar con destinazione Genova; mentre nel febbraio dell’anno successivo si recarono a protestare fino al Parlamento europeo, e per scongiurare che l’approvazione del processo breve potesse impedire l’accertamento della verità, pochi giorni dopo sostarono davanti alla procura della Repubblica di Lucca per 32 ore, 60 minuti per ogni persona rimasta uccisa dall’incidente ferroviario.

IL 21 APRILE 2010 la Procura di Lucca rende noto che ci sono degli indagati, mentre il 21 giugno dello stesso anno comunica i nomi delle 18 persone già iscritte nel registro degli indagati, tra i quali i tedeschi Joachim Lehamann 42 anni, Andreas Schroter 44 anni, Uwe Kriebal 46 anni dell’officina Jungenthal di Hannover ed il mantovano Paolo Pizzadini, 44 anni, della Cima riparazioni, mentre il 16 dicembre 2010 emette 38 avvisi di garanzia, e il 18 luglio 2013 il Gup Alessandro Dal Torrione decide per il rinvio a giudizio di 33 imputati, e fissa al 13 novembre 2013 la data di inizio della prima udienza del processo per la strage.

Finiscono tra gli indagati manager del gruppo Ferrovie dello Stato come Mauro Moretti, insieme a dirigenti di tre diverse aziende: la Gatx Rail proprietaria del convoglio; l’officina tedesca Jugenthal che ne fece la revisione; e la Cima riparazioni che si occupò del montaggio. I reati contestati vanno da disastro ferroviario, incendio colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni personali, illecito amministrativo e violazione delle norme per la sicurezza sul lavoro. Il presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta accetta la transizione economica e rinuncia a costituirsi parte civile al processo.

IL 31 GENNAIO 2017, dopo sette anni e sette mesi e un giorno dalla tragedia, e 140 udienze, il tribunale di Lucca emette la sentenza di primo grado condannando, tra gli imputati, a 7 anni e 6 mesi di carcere Michele Mario Elia, nel 2009 ad di Rete Ferroviaria Italiana, a 7 anni di carcere Mauro Moretti per il ruolo di ex amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana (l’accusa aveva chiesto 16 anni), e a 7 anni e 6 mesi Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia e di Fs Logistica. Nove anni e sei mesi, invece la pena inflitta a Rainer Kogelheide, amministratore di Gatx Rail Germania, ed a Peter Linowski, responsabile sistemi di manutenzione di Gatx Rail Germania. Nove anni per Johannes Mansbarth, amministratore delegato di Gatx Rail Austria, e Uwe Konnecke, responsabile delle Officine Jungenthal di Hannover. Otto per Andreas Schroter delle Officine Jungenthal, Helmut Brodel, Uwe Kriebel, anche lui della Jungenthal. I 23 condannati sono accusati a vario titolo di disastro ferroviario, incendio colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni personali.

DANIELA ROMBI, che ha perso la figlia Emanuela, è una donna bionda dentro un corpo sofferente visibilmente toccata da questa tragedia, ma che non ha perso mai il coraggio e la lucidità che servono per lottare e difendersi. «È vero – mi ha detto -, dopo niente è stato più come prima. Quanto abbiamo dovuto sopportare, di brutte parole durante i processi, sono caduti molto in basso», dice con un tono addolorato. Mi racconta che nel corso dei dibattimenti gli avvocati degli imputati si lamentavano: «Quelli in fondo non mi salutano ha detto uno di loro», mi fa. «Ma chi difende chi ha ucciso mia figlia credo che possa decidere di non salutarli».

La sentenza di primo grado li ha delusi, ma ora dovranno affrontare l’appello, non c’è tempo da perdere. «La grande mobilitazione è stata decisiva, abbiamo fatto quello che c’era da fare, siamo sereni – continua a raccontare scandendo con le lentezza le frasi – e di questo sono orgogliosa, altrimenti non saprei come poter continuare a vivere. Perché niente è davvero più come prima, siamo cambiati, abbiamo dovuto conoscere dei mondi non conoscevamo», dice inquieta. Cittadini che si sono dovuti difendere dalla Stato, dagli stessi partiti politici che hanno votato, dalle istituzioni in cui avevano sempre creduto. «Sono fortunata ad avere incontrato altre persone, quelli del comitato, ma sono costretta a continuare a vivere questa vita che mi è stata imposta».

LA MOBILITAZIONE non si ferma. L’associazione dei parenti delle vittime «Il mondo che vorrei» e quello dei cittadini e ferrovieri riunito nel comitato «Assemblea 29 giugno», intanto, un risultato importante l’hanno ottenuto.

Mauro Moretti, uomo dei poteri italiani con un passato da sindacalista nella Filt-Cgil come segretario generale, ruolo che ha ricoperto dal 1986 al 1991, poi amministratore delegato di Ferrovie dello Stato e di Finmeccanica, non è stato riconfermato alla guida dell’azienda oggi denominata Leonardo proprio a causa della condanna subita, nonostante dopo la strage di Viareggio la sua carriera sia continuata inarrestabile. L’anno dopo l’inizio del processo, infatti, nel 2014, diventa amministratore delegato di Finmeccanica designato dal governo Renzi, mentre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 31 maggio 2010, a meno di un anno dalla strage, gli conferisce l’onorificenza di Cavaliere del lavoro. Cose che fanno non poco indignare e riflettere.

Resterà celebre la sua frase, che fece il giro del mondo, pronunciata durante un’audizione al Senato sei mesi dopo la tragedia: «Vi prego di considerare che quest’anno, per la sicurezza – a parte questo spiacevolissimo episodio di Viareggio – abbiamo ulteriormente migliorato: siamo i primi in Europa».