L’ombra di Trump si profila sulle elezioni francesi. A sei mesi dal primo turno delle presidenziali, la vittoria del tycoon sembra suonare come un sinistro presagio per cosa potrà accadere nella corsa per l’Eliseo. Se la conquista, inaspettata, della Casa Bianca da parte del miliardario newyorkese alimenta le speranze della parte più conservatrice dello schieramento di centro-destra transalpino, tutti guardano con sempre maggiore preoccupazione alla possibilità che sia invece il Front National ad approfittare del clima internazionale favorevole alle forze della nuova destra.

Impegnato nelle «primarie della destra e del centro» che anche grazie ai suoi continui rimandi ai temi della sicurezza, dell’immigrazione e dell’identità nazionale, nel tentativo di strizzare l’occhio agli elettori frontisti, sembrano essersi allargate di fatto anche all’estrema destra, Nicolas Sarkozy è senza dubbio il politico francese, ad eccezione di Marine Le Pen, che più sembra pensare di poter trarre vantaggio da quanto accaduto negli Stati Uniti.

L’ex presidente scommette da un lato sulla medesima inattendibilità dei sondaggi che al pari di quanto accaduto per Trump lo vedono ancora dietro i suoi principali competitor, Juppé e Fillon. Dall’altro sono i temi stessi scelti da Sarko per la propria campagna, il pugno di ferro in materia di immigrazione e di rapporto con le comunità musulmane, oltre all’appello esplicito alla «maggioranza silenziosa» – tristemente evocata nei giorni scorsi anche da Renzi -, a evidenziare un certo parallelismo tra i due.

Del resto, a suo giudizio, l’elezione di Trump esprimerebbe quel medesimo rifiuto del «politicamente corretto e del pensiero unico» e della contrapposizione tra popolo ed élite, di cui lui stesso, malgrado la trentennale carriera politica, ripete da mesi di volersi fare interprete.

Ma se sui paragoni tra il fondatore dei Républicains – il nome che proprio Sarkozy ha scelto di imporre alla coalizione gollista-liberale lo scorso anno – e il nuovo presidente americano la stampa e gli opinionisti di Parigi si dividono, sul parallelo tra la figura e il successo di Trump e quello possibile della leader della estrema destra nessuno sembra ormai dubitare.

Digerito lo shock della sconfitta di Clinton, i titoli dei settimanali francesi più popolari in edicola nel weekend traducono bene quale sia lo spirito, e l’inquietudine, dominanti. Se l’Express si limita ad annunciare il problema con un laconico «Trump e noi», il Nouvel Observateur mette in copertina il profilo del miliardario e quello della leader del Front National e parla di «Ondata populista, come evitare il peggio». Salta invece ostacoli scaramantici ed ogni esitazione la prima della rivista Marianne, che cala tutte le carte dell’emergenza interrogandosi così, dopo aver ricordato la Brexit e il successo di Trump: «2017: possiamo ancora impedire che vinca Le Pen?».

Quanto alla diretta interessata che con un tweet arrivato nella notte elettorale statunitense si era felicitata non «della fine del mondo che era stata annunciata dai media se avesse vinto Trump, ma della fine di un mondo, quello delle élite politiche e mediatiche pesantemente sanzionate, in Europa come negli Usa, da questo straordinario risultato», quanto accaduto oltre oceano ha il significato di un auspicio.

Presentati soli pochi giorni fa simbolo e slogan con cui correrà per l’Eliseo: una rosa blu e un semplice «Marine présidente» accompagnati dalla parola d’ordine «Nel nome del popolo», a sintetizzare il tentativo da tempo in atto di prendere simbolicamente le distanze dall’estrema destra tradizionale e di pescare anche tra gli elettori delusi di destra e sinistra, la presidente del Fn ha evidenti punti di contatto con la linea di Trump, dal protezionismo economico allo stop all’immigrazione fino alla vicinanza a Putin.

Questo, senza contare che il principale consigliere del nuovo presidente statunitense, quel Stephen Bannon, esponente di primo piano della Alternative right, la cui nomina ha suscitato scandalo e proteste in America, solo qualche giorno fa ha spiegato di considerare proprio il Front National, e Le Pen, tra i suoi interlocutori privilegiati nel Vecchio continente. Quasi una nomina in pectore, se fosse lui a decidere.