A meno di sei mesi dalle elezioni europee, torna l’incubo dell’ “idraulico polacco”, sotto le spoglie del “lavoratore distaccato low cost”, una forma di dumping sociale che rischia di favorire l’estrema destra e l’anti-europeismo nei paesi ricchi, mentre diventa “una forma di schiavitù moderna” secondo i sindacati per i paesi più poveri della Ue. Ieri a Bruxelles i ministri del lavoro dei 28 paesi Ue hanno trovato un compromesso per modificare la direttiva che dal ’96 regola la situazione dei lavoratori distaccati (che non vanno confusi con gli immigrati), anche se la presidenza lituana del Consiglio europeo ieri sera non ne aveva ancora precisato i contorni (sette paesi hanno votato contro). La direttiva era stata approvata in seguito all’entrata di Spagna e Portogallo, ma prima dell’allargamento a est: nata cioè per evitare il dumping sociale dei due paesi con salari più bassi della media europea, si è paradossalmente trasformata in un’arma che ha favorito il lavoro low cost, con l’allargamento a est del 2004 e del 2007, e a causa della crisi economica. Negli ultimi anni, il numero dei lavoratori distaccati è esploso (ufficialmente sono 1,5 milioni nella Ue, ma il loro numero è sottovalutato) e soprattutto gli abusi si sono moltiplicati, al punto che la Ces (Confederazione europea dei sindacati) ha denunciato “un’Europa sociale a due velocità”. Ogni paese ha cercato di esportare la propria disoccupazione, in una rincorsa al low cost salariale. In nome della libertà di circolazione delle persone, Gran Bretagna, Irlanda e un fronte dei paesi dell’est (che esportano lavoratori low cost) non vogliono modifiche alla direttiva (ma la Polonia alla fine ha votato a favore del compromsesso), mentre Francia, Germania, Italia, Danimarca chiedono più regole, maggiori controlli e la possibilità di rendere penalmente responsabile chi affida attività lavorative a società che importano forza lavoro. Nel 2005, con la “direttiva Bolkestein”, che avrebbe permesso di assumere a livelli salariali del paese d’origine, c’era stato un tentativo di “alleggerire” la direttiva del ’96: la Bolkenstein non era passata, ma nei fatti è una sua versione selvaggia che è all’opera oggi, attraverso i numerosi abusi.

La direttiva del ’96 mirava a regolamentare la situazione dei lavoratori temporaneamente distaccati, che devono ottenere delle condizioni di lavoro eguali a quelle del paese dove sono inviati (in termini di salario minimo quando esiste, di protezione contro gli infortuni ecc.), mentre i contributi continuano ad essere pagati nel paese d’origine. Ma gli abusi si sono moltiplicati: cittadini assunti da una società straniera per essere pagati meno, finte buste-paga per stranieri che ricevono il salario minimo solo sulla carta, mentre sono obbligati a pagare vitto e alloggio a prezzi esorbitanti, lavoro nel fine settimana e straordinari mai pagati, frodi invisibili realizzate attraverso la catena dei subappalti, ecc. In Germania, per esempio, dove finora non c’è un salario minimo, dei lavoratoti dell’est sono assunti a salari stracciati nei macelli, cosa che ha finito per distruggere la concorrenza francese (di qui una delle ragioni delle proteste dei “berretti rossi” della Bretagna). Il primo ministro belga, Elio Di Rupo, di recente ha denunciato il caso di “un imprenditore, che è stato preso perché faceva lavorare 60 portoghesi per un salario di 2,06 l’ora, una cosa assolutamente inaccettabile”. I settori dove il lavoro low cost è più presente sono l’edilizia, l’agricoltura e la ristorazione.

Finora, la Corte di giustizia europea ha sempre favorito la “libera circolazione”, nella versione della “libera prestazione di servizi”: nel 2007, dei marinai finlandesi, che contestavano l’immatricolazione dei ferry in Estonia, avevano perso la causa; i sindacati svedesi erano stati condannati per aver cercato di bloccare l’attività in Svezia di una ditta lettone di lavori pubblici, che assumeva a condizioni lavorative baltiche; il Lussemburgo, addirittura, è stato condannato nel 2008, per essere stato troppo generoso nella trasposizione della direttiva del ’96, permettendo di pagare ai lavoratori stranieri distaccati stipendi oltre il salario minimo. In Francia, c’è stata una denuncia nel 2011, da parte di lavoratori polacchi del cantiere di costruzione del reattore nucleare di Flamanville, che avevano un contratto scritto in inglese, assunti in subappalto da una società irlandese scelta dal gigante Bouygues, pagati via Cipro.

José Manuel Barroso aveva promesso di affrontare il problema durante il suo secondo mandato. La Commissione ha chiesto pero’ alla Francia, che è il paese più determinato sulla questione, di essere “ragionevole” e di accettare un compromesso. Per il commissario al lavoro, Laszlo Andor, “uno dei problemi della Francia è il livello dei contributi, che è il più alto d’Europa”.