A meno di due mesi dalla caduta del presidente autoritario Zine El-Abidine Ben Ali, l’avvocata Abir Moussi si trovava di fronte al tribunale di Tunisi per sventare lo scioglimento del Raggruppamento costituzionale democratico. Era il 2 marzo 2011 e Moussi, originaria di Jemmal, fu la sola ad avere accettato il ruolo di difensora dell’allora partito egemone in Tunisia.

Il Paese in quei giorni aveva terminato la primissima fase di transizione democratica, la cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini era nel pieno della sua mobilitazione e da lì a qualche mese si sarebbero tenute le prime elezioni libere che avrebbero portato alla promulgazione della nuova costituzione nel gennaio 2014.

Il clima incandescente di quei giorni è testimoniato dal tentato linciaggio della neo leader del Parti destourien libre (Pdl) di fronte al Tribunale di prima istanza, impedito solamente dall’intervento della polizia.

Abir Moussi, tuttavia, era lì, a difendere il suo partito ma soprattutto le sue posizioni a favore di Ben Ali e del padre della patria Habib Bourghiba.

Oggi la situazione è completamente cambiata e Moussi si trova in testa ai sondaggi con il 27% delle preferenze, davanti al partito di ispirazione islamica Ennahda e alla miriade di forze politiche che cercano di interpretare lo spirito laico della Tunisia.

Dalle elezioni legislative del settembre 2019 la Tunisia vive una costante situazione di incertezza. Il 26 agosto scorso, in piena emergenza Covid-19, il presidente della Repubblica Kaïs Saïed ha dato il via un governo tecnico capitanato da Hichem Mechichi.

La disoccupazione stabile al 15,5%, la recessione stimata a un meno 7% per il 2020 e il record di partenze attraverso il Mediterraneo sono lo specchio evidente di una crisi economica e sociale che potrebbe portare a ulteriori stravolgimenti politici.

Abir Moussi in questi mesi è stata capace di interpretare la rassegnazione del popolo tunisino verso l’attuale classe politica e, soprattutto, Ennahda, il suo bersaglio preferito all’Assemblea dei rappresentanti del popolo (Arp). Nei suoi discorsi pubblici non manca di ricordare l’assenza di uno Stato di diritto forte come ai tempi di Ben Ali.

«Moussi non parla esplicitamente di dittatura, ma può essere che lo pensi veramente. Rispetto a Libia ed Egitto la Tunisia ha istituzioni più forti e il rischio di avere un regime autoritario è lontano – è il commento di Seif Bentili dell’osservatorio democratico Al Bawsala – In ogni caso lei è una minaccia per la transizione democratica. Il 25 settembre scorso ha presentato una proposta di legge con il chiaro obiettivo di abolire il processo di giustizia transizionale».

Il percorso di giustizia transizionale è iniziato a fine 2013 con la creazione per legge dell’Istanza Verità e Dignità (Ivd): «L’Ivd mira a smantellare il sistema autoritario in Tunisia – si legge sul sito ufficiale – e a facilitare la transizione verso uno Stato di diritto, rivelando la verità sulle violazioni del passato; determinando le responsabilità dello Stato in queste violazioni; chiedendo ai responsabili di queste violazioni di rendere conto dei loro atti; ristabilendo le vittime nei loro diritti e dignità preservando la memoria e facilitando la riconciliazione nazionale».

Il risultato finale dei cinque anni di lavoro dell’Ivd e della sua presidente Sihem Bensedrine è un report di più di 2mila pagine, pubblicato il 26 marzo 2019 e recepito dal governo più di un anno dopo. Torture sistematiche, repressione politica e corruzione sono i temi principali dei più di 60mila casi raccolti dall’Ivd.

Di questi, circa 250 sono sfociati in un processo: «Il numero non è così importante, l’aspetto fondamentale è che il governo tunisino venga riconosciuto come autore di torture e corruzione», dichiara al manifesto Bentili, anche responsabile del progetto Never Again sulla giustizia transizionale in Tunisia.

La presidente Bensedrine e i suoi colleghi più di una volta hanno denunciato episodi di boicottaggio da parte delle istituzioni. Dal 2011 la Tunisia sta assistendo a un processo di transizione democratica. Tuttavia, nei ruoli apicali sono rimaste figure appartenenti ai regimi di Bourghiba e Ben Ali, impedendo di fatto quella riconciliazione nazionale palesata dall’Ivd.

Addirittura l’ex presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi si trova a essere nominato per degli episodi risalenti agli anni ’60, quando era a capo della Sicurezza nazionale: «Un giorno abbiamo ricevuto la visita di Essebsi che conoscevo personalmente da molto tempo – come si può leggere nella testimonianza dell’imprenditore Moncef el Matri, arrestato e condannato a morte nel gennaio del 1963, nel rapporto dell’Ivd – Nella sua breve visita ci hanno lasciato incatenati. Mi è venuto incontro e mi ha chiesto “Moncef stai bene?”, ho pensato che fosse davvero preoccupato per la nostra situazione. In segno di protesta gli ho risposto “Grazie a Dio, ma abbiamo fame e freddo e non possiamo entrare in contatto con le nostre famiglie. Mi chiedo perché siamo incatenati”. Poi ho alzato il piede per muovere la catena e costringerlo a sentire il rumore. Per quanto ne sapevo, per legge dovevamo essere sotto la protezione della giustizia. Rispose: “Testardo come al solito, vedremo!”».