Un uomo rimasto recentemente vedovo assume una detective paranormale perche’ crede che il fantasma di sua moglie lo visiti periodicamente in casa. Una donna abbandonata dal marito, con un figlio teen ager, che insegue con telecamere e registratori gli spettri altrui, per dimenticare i suoi. È la premessa elegantemente simmetrica di Light From Light, uno dei migliori film della sezione Next a Sundance di quest’anno. Dietro alla cornice gotica della storia, è un altro delicato film regionale del regista di Something, Anything, Paul Harrill. Lo abbiamo intervistato.

D. Vorrei cominciare dal senso del posto, le Smoky Mountains, in Tennessee. È molto forte nel film. Perché’ quella zona?

R. Per molte ragioni -a partire dal fatto che sono nato lì. E poi molte delle storie che desidero raccontare riguardano personaggi che condividono i valori di questi posti e sono ancorati nella loro cultura. Ho sempre trovare le Smoky bellissime, ma anche enigmatiche e misteriose; due qualità adatte alla storia del film e a quello che cercava di dire sulla bellezza che può essere trovata in cose o luoghi densi di mistero. Le Smoky sono decisamente una grande ispirazione. E poi c’è la cultura meridionale. Culturalmente parlando, la parte orientale del Tennessee è più vicino all’Appalachia che al profondo sud. Ma la religione e la spiritualità sono inestricabili dalla cultura locale. Posso dire che le considerazioni del film e il mio interesse personale per religione e la spiritualità, come soggetti cinematografici, emergono da questo posto.

D. Che rapporto vedi tra Light from Light e Something Anything, il tuo primo lungometraggio?

R. Girando non ci avevo pensato. Ma la connection esiste. Sono entrambi film su dei personaggi femminili alla ricerca di qualcosa. Di una realtà ulteriore. E entrambi film affrontano il tema della spiritualità. Sono anche due storie d’amore. Anche se non in senso convenzionalmente romantico.

D. Hai citato Borzage e Leo McCarey come tue grandi passioni, due grandissimi autori di melodramma. Il tuo film è invece così contenuto…

R. Mi piace nei loro film il senso accentuato della passione, la loro sincerità. E l’emozione: non necessariamente solo quella che mettono in scena sullo schermo, ma anche quella che evocano in noi spettatori. Perché’ desidero che anche i miei film destino un responso emotivo in chi li guarda. E poi sono due autori spirituali. Certo, Bresson e Dryer sono considerati giganti del cinema spirituale, e li adoro. Ma mi sembra interessante come Borzago e McCarey affrontino gli stessi temi in un contesto mainstream come quello hollywoodiano, che siano riusciti a fare film così personali dentro a quel sistema.

D. Da dove viene l’idea dell’investigatrice paranormale, Sheila?

R. Stavo guidando dal Tennessee alla Virginia e mi sono sintonizzato su una stazione radio locale che stava trasmettendo un’intervista con un’investigatrice paranormale. Ne ho sentiti solo cinque minuti, perché’ poi sono uscito dal raggio della radio. Ma era affascinante, e ha gettato i semi per questo personaggio che mi è [parso lo strumento ideale per sollevare delle domande sulle fede e la spiritualità’ da un punto di vista agnostico, quasi come una metafora. E poi l’esistenza dei fantasmi è parte della cultura degli Appalachi.

D. Come hai scelto Marin Ireland, che ha fatto anche film di puro genere?

R. Me l’ha suggerita Elizabeth Moss, uno dei produttori del film. Appena ho iniziato a guardare i suoi lavori precedenti ho capito che era Sheila. Lo so che è un cliche ‘quando si parla di attori, ma c’è qualcosa di veramente autentico in lei. E poi ha un aspetto molto preciso, che mi ricorda quello di molte donne del Tennessee orientale, anche se non è di qui. Ho sempre pensato a Sheila come a un personaggio che ha proietta un’esteriorità molto forte per proteggere la sua vulnerabilità interiore. IN questo senso, c’è un ammicco anche ad altri suoi film. Ma volevo usare quelle qualità in modo differente.

D. La passeggiata nel bosco di Sheila e di Richard, l’uomo che la assume per indagare la presenza del fantasma di sua moglie, è il cuore del film.

R. E ‘un dato di fatto che i rottami di parecchi aerei caduti nelle Smoky vengano semplicemente lasciati lì, nella foresta. È successo anche mentre mi apprestavo a scrivere la sceneggiatura. Quindi ho sempre immaginato che quella scena dovesse essere nel film. Sheila e Richard sono due personaggi “in viaggio”. A un certo punto era logico che dovessero uscire, confrontarsi con la realtà, la verità della loro perdita. E uscire all’aperto era importante anche per il film – che è girato in interni.

Come hai dosato la presenza tangibile, e non, del sovrannaturale?

R. È una cosa in cui mi sono dibattuto molto, già nella fase della scrittura. C’era un livello di ambiguità che volevo mantenere in modo che persone di convinzioni differenti potessero avvicinarsi al film con lo stesso livello di apertura. Il modo in cui alla fine ho scelto di raffigurarla arriva da una mia esperienza diretta -anche se non necessariamente di natura paranormale

D. Hai detto che questo è un film d’amore. A me sembra anche un film sulla solitudine esistenziale.

R. Assolutamente sì. Era una cosa con cui mi stavo intensamente confrontando mentre lo scrivevo. Stavo attraversando un divorzio, dopo una separazione molto lunga. Quelle esperienze informano il film.

D. David Lowery, che ha da poco fatto un film intitolato Ghost Story, è uno dei tuoi produttori. Qual è stato il suo coinvolgimento?

R. David, insieme a James Johnston e Toby Halbrooks è parte del Sailor Bear Collective, un collettivo di registi che conosco da anni. Ci sosteniamo uno con l’altro anche leggendo le rispettive sceneggiature. Quando ho mandato a James la prima stesura di Light from Light, per chiedergli cose ne pensava ma anche se volevano essere coinvolti nella produzione, stavano finendo di girare Ghost Story. Non ne avevo idea! A quel punto ho subito pensato che non ne avrebbero voluto sapere del mio film. Invece mi hanno detto di non preoccuparmi: erano due progetti molto diversi.