Il ping pong a uso della propaganda sui dati Istat relativi alla mancata crescita era inevitabile. «Con noi il Pil era col segno più e adesso è negativo», affonda per primo la lama Renzi. «Colpa delle manovre sbagliate dei governi precedenti», replica dopo qualche ora Salvini. In realtà la “colpa” principale è di un fase economica che ha invertito la rotta e mette a rischio tutti, in particolare tutta l’Europa. È tuttavia ovvio che il dato si rifletta immediatamente sulla trattativa con la Ue in corso e molto lontana dal concludersi. Tria ha visto Moscovici, Conte ha incontrato Juncker: sorrisi, abbracci, ostentazione d’ottimismo ma nulla di concreto.

La linea dell’Europa è che la manovra italiana rende il Paese più esposto a rischi nella fase difficile che si prepara. La posizione del governo gialloverde è quella illustrata da Tria nell’aula del Senato: i conti e i relativi impegni con la Ue assunti dal governo Gentiloni non sono più credibili nella fase che si è ormai aperta e anzi urge una politica di segno opposto per evitare la recessione: «Il dato era previsto e proprio per questo abbiamo messo sul tavolo una manovra anticiclica», conferma la ministra per il Sud Lezzi. Trovare un punto di incontro partendo da due analisi non diverse ma opposte non è facile. Non è che si possa procedere con il classico «un po’ per uno» coniugando strategie così contraddittorie.

Di passi avanti infatti non se ne fanno. In pochi giorni la forma è cambiata radicalmente, la sostanza molto meno. Pare che la Lega consideri l’ipotesi di limitare quota 100 a tre anni, ma non è una di quelle cose che si possano spiattellare apertamente. Si può ricordare, come ha fatto ieri Salvini, che la manovra riguarda il prossimo triennio, ma affermare che poi quota 100 chiuderà i battenti sarebbe suicida. Del resto, tornare indietro in questi casi è politicamente impossibile o almeno sommamente sconsigliabile, come gli 80 euro di Renzi dimostrano. La commissione quindi non si può accontentare. Il “numerino”, cioè una modifica del deficit previsto, è indispensabile e anche ieri, tra un salamelecco e l’altro, Moscovici ha ribadito che la commissione «deve vedere una riduzione del deficit credibile». È sottinteso che i due decimali di deficit in meno che la Lega è pronta a concedere, mentre i 5S ancora puntano i piedi, non basterebbero.

Solo che l’impatto del calo della crescita certificato dall’Istat agisce anche su un altro versante: proprio perché è la spia di una difficoltà complessiva dell’eurozona suggerisce alla commissione di fare davvero il possibile per evitare una crisi che metterebbe a rischio la sopravvivenza della zona stessa. Dunque Conte e Juncker si trovano sulla stessa lunghezza d’onda: minimizzare le difficoltà, allungare i tempi per stemperarle, mostrare ottimismo in pubblico glissando sugli ostacoli. Lo stesso invio delle “raccomandazioni” della commissione, previsto per il 19 dicembre e ultimo passo prima di passare la parola ai cannoni, cioè alla procedura, potrebbe slittare. Governi dell’eurogruppo permettendo, e non è detto, essendo proprio l’eurogruppo il bastione della rigidità contro l’Italia. Lo si capirà lunedì, quando si riunirà.

L’incertezza sulla trattativa in corso obbliga la commissione Bilancio della Camera a procedere a passo di tartaruga. L’arrivo in aula della manovra è slittato di un giorno, sino a martedì. Tra oggi e domani dovrebbero arrivare gli emendamenti principali ma quello su quota 100 quasi certamente verrà presentato al Senato. A provare quanto la tensione sotto pelle sia alta vale un episodio eloquente: Salvini ha scelto di disertare il vertice di centrodestra perché reso noto invece che segreto. Con la manovra in esame e il braccio di ferro con la Ue in corso non è il momento di creare frizioni con i 5S.