È un vero e proprio uragano quello che si è abbattuto sul Belgio. Lo spettro della crisi politica, dopo le dimissioni (poi respinte) dei ministri degli Interni, Jan Jambon, e della Giustizia, Koen Geens, unita alle falle oramai evidenti nei servizi di sicurezza sono una miscela esplosiva che rischia di generare una crisi di governo che potrebbe destabilizzare l’intera comunità europea.

La falla dei servizi di sicurezza di mezza Europa (non dimentichiamo che Salah Abdeslam in fuga da Parigi dopo gli attentati è stato fermato ben tre volte dalla polizia francese prima di raggiungere Bruxelles) ha colpito in particolare il governo belga, colpevole di non aver colto i segnali sui potenziali terroristi nel proprio territorio.

Secondo i media locali, sarebbe stato il primo ministro Charles Michel, in quota Mr (partito liberale francofono), a insistere perché i due ministri restassero al loro posto in un momento tanto delicato per il paese.

La partenza di Jan Jambon, pezzo grosso del più grande partito di maggioranza di governo, la Nva, un partito separatista fiammingo di estrema destra (dalla retorica simile a quella della nostra Lega), avrebbe probabilmente messo in discussione l’esecutivo e aperto una crisi dalle conseguenze difficilmente prevedibili.

Il Belgio è un paese in cui la formazione di un governo non è cosa semplice.

L’equilibrio di un esecutivo deve tener conto non solo degli orientamenti politici dei partiti ma anche delle divisioni linguistiche fra la comunità fiamminga e la comunità francofona, senza contare l’esistenza di una minoranza di lingua tedesca. È di qualche anno fa il triste record della crisi politica più lunga della storia, con 541 giorni consecutivi senza governo. Un vero record mondiale, a cui aveva fatto seguito un accordo di «larghe intese» (tipico nel panorama belga) per poi arrivare a una coalizione di centro-destra guidata dalla Nva.

Il cuore della crisi politica (non ancora sventato ma solo sospeso dalla situazione di emergenza che vive il paese) è dovuto principalmente alla strategia della Nva, partito anti-immigrazione e dalle politiche di tagli alla spesa sociale, favorevole a una regione fiamminga indipendente.

La critica verso i partiti francofoni, accusati di lassismo e di aver creato il terreno ideale per lo sviluppo di cellule terroristiche, sembra ora ritorcersi contro lo stesso partito separatista fiammingo.

Se Jan Jambon, esponente di spicco della Nva deve rispondere di superficialità nella gestione delle informazioni venute dal governo turco (sulla cui genuinità le autorità belghe nutrono molti dubbi), Bart de Wever, leader storico del partito, deve invece rispondere del fatto che le più importanti reti di reclutamento di foreign fighters sono proprio sul territorio fiammingo. In particolare la nota associazione (a quanto pare) madre del fondamentalismo belga, Sharia4Belgium, sciolta nel 2012, è stata fondata ad Anversa, locomotiva economica fiamminga di cui lo stesso Bart De Waver è sindaco.

La debolezza dell’esecutivo belga e la sua possibile caduta (in perenne crisi di identità fra l’unità nazionale e la deriva separatista della Nva) sembra ora assurgere a simbolo di un’Unione Europea che fatica a trovare un’identità, una strategia comune nella lotta al terrorismo e nelle politiche d’accoglienza dei richiedenti asilo, con effetti imprevedibili su tutto il panorama politico europeo.